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Perché la teoria di Stefano Scoglio sui tamponi che gonfiano i positivi è sbagliata

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6 novembre 2020
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Abbiamo ricevuto più volte (la prima il 29 ottobre 2020) la segnalazione via Whatsapp di una nota Facebook intitolata La ciliegina truffaldina sulla torta avvelenata dei tamponi, pubblicata il 28 ottobre 2020 e a oggi condivisa oltre 10.000 volte. La nota è firmata dal dottor Stefano Scoglio, secondo un documento del Comune di Urbino «candidato al Nobel» e ricercatore specializzato in estratti terapeutici di alghe, che ora dirigerebbe – secondo il suo profilo sul social network professionale LinkedIn – un «Centro di Ricerche Nutriterapiche» a Urbino.

In questa nota si argomenta che i tamponi molecolari non sarebbero specifici per il nuovo coronavirus Sars-CoV-2, agente della pandemia di Covid-19, ma potrebbero invece indicare la presenza di altri virus, aumentando falsamente il numero dei positivi.

Si tratta di un’informazione falsa, ma per capirlo dobbiamo approfondire brevemente il funzionamento dei cosiddetti tamponi molecolari.

Come funziona un tampone

Quando viene fatto un tampone, si preleva dal naso e dalla faringe una piccola quantità di materiale biologico in cui può nascondersi il virus che cerchiamo. In particolare si va alla ricerca del materiale genetico del coronavirus Sars-CoV-2. Come garantire che non ci facciamo ingannare da altri virus?

Qui interviene la tecnologia Pcr, acronimo che sta per Polymerase chain reaction o «reazione a catena della polimerasi». Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo immaginarla come una specie di fotocopiatrice molecolare che fa miliardi di copie (nel gergo dei biologi molecolari si dice che amplifica) di una molecola di Dna che desideriamo. L’idea è che, se anche ci fossero pochissime molecole di partenza, possiamo «fotocopiarle» fino ad averne una quantità rilevante in provetta – è lo stesso meccanismo che replica il Dna delle nostre cellule.

Se la nostra provetta è piena di Dna — basta un apposito colorante fluorescente per saperlo — vuol dire che la “fotocopiatura” è avvenuta e possiamo dedurre che in origine la nostra provetta conteneva almeno una copia del genoma virale. Se invece non c’è virus, la nostra “fotocopiatrice” molecolare non avrà niente da copiare e non troveremo nulla.

I più pignoli potrebbero notare che i coronavirus hanno un genoma a Rna, un tipo di acido nucleico leggermente diverso dal Dna. Ma niente paura: possiamo copiare questo Rna in Dna con un enzima, e poi applicare lo stesso identico metodo. Si tratta solo di un passaggio in più.

Come facciamo però a essere sicuri di «fotocopiare» (amplificare) solo la molecola che ci interessa, con tutte le molecole di Dna e Rna che si trovano in un campione biologico umano? Per funzionare, la Pcr ha bisogno di due piccoli pezzettini di Dna, chiamati primer, che legano l’inizio e la fine della sequenza di Dna che ci interessa – un po’ come la frase iniziale e finale di un paragrafo di un libro. Questi primer vengono appositamente progettati in laboratorio per legare solo la sequenza desiderata.

L’argomento di Scoglio

La nota pubblicata da Stefano Scoglio attacca proprio quest’ultimo punto. I primer del test per il coronavirus Sars-CoV-2 non sarebbero abbastanza specifici, perché la loro sequenza, a detta di Scoglio, non è stata ben progettata. Sarebbe, a suo dire, identica sì a quella di Sars-CoV-2, ma anche a quella di altri coronavirus. Se così fosse il tampone potrebbe identificare come «positivo» al Sars-CoV-2 una persona in realtà affetta da un altro coronavirus.

È vero, infatti, che ci sono altri coronavirus umani comuni, come i beta-coronavirus OC43 e HKU1, o gli alfa-coronavirus 229E e NL63, che sono diffusi nella popolazione e causano infezioni di norma simili a un raffreddore.

A supporto della sua affermazione Scoglio mostra un grafico, ottenuto da un documento tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sui tamponi, che mostrerebbe le differenze tra la sequenza dei primer usati in un tampone per Sars-CoV-2 e altri coronavirus. A prima vista, le differenze sono spesso pochissime o nulle. Inoltre, come nota Scoglio, all’inizio i tamponi cercavano di amplificare tre geni diversi del coronavirus Sars-CoV-2, e davano risultato positivo solo se li trovavano tutti e tre. Dalla circolare ministeriale del 19 marzo 2020, in «aree con diffusa trasmissione Covid-19 è considerata sufficiente quale diagnosi di laboratorio la positività al test RT-PCR rilevata su un singolo gene target di SARS-CoV-2». Spesso uno di quei geni simili o addirittura identici, nel diagramma mostrato da Scoglio, ad altri coronavirus.

La realtà dei fatti

A differenza di quanto sostiene Scoglio, però, sappiamo che i test Pcr per il tampone sono estremamente specifici proprio per Sars-CoV-2. Chi progetta i tamponi infatti sa bene che bisogna evitare le cosiddette reazioni incrociate con altri virus che rischiano di falsare il risultato, e quindi tutti i test commerciali vengono testati proprio con campioni di altri virus per accertarsi che non ci siano falsi risultati positivi. Grazie a questi controlli sappiamo che i tamponi per Sars-CoV-2 non danno nessuna positività quando testati con altri virus, inclusi gli altri coronavirus umani. Lo mostra proprio lo stesso documento Oms da cui Scoglio ha tratto il grafico della sua nota, e lo mostrano altri studi indipendenti, per esempio qui, qui e qui.

Dov’è l’errore nel ragionamento di Scoglio? Come ci ha spiegato il genetista molecolare Marco Gerdol, ricercatore all’Università di Trieste, in realtà Scoglio non si accorge che le sequenze genetiche presentate in quell’immagine identificano solo i cosiddetti sarbecovirus, sottocategoria dei coronavirus a cui appartengono alcuni virus dei pipistrelli, il virus Sars-CoV-2 e il virus Sars-CoV-1. Quest’ultimo era il virus causa della Sars, ma non è più in circolazione dal maggio 2004. Come ci ha detto Gerdol «potenzialmente un positivo al test potrebbe avere la Sars, o essere lo sfortunato protagonista di una zoonosi non documentata da un ipotetico nuovo virus Sars-CoV-3. Ma certamente non c’è nessuna possibilità che il test risulti positivo a causa dei coronavirus umani OC43, HKU1, NL63 o 229E». E infatti gli esperimenti mostrano che non accade.

Per chi volesse esserne sicuro, e per chi volesse addentrarsi nei dettagli tecnici, Gerdol ci ha aiutato a confrontare le sequenze del gene E di Sars-CoV-2 (e i primer del tampone) con quelle degli stessi geni dei coronavirus che infettano comunemente gli esseri umani. È il gene che preoccupa di più Scoglio, in quanto secondo lui «il gene E del SARS-Cov-2 è identico al 100% a quello del SARS-Cov-1, e probabilmente a quello di tutti i SARS coronavirus».

Se guardate con attenzione l’immagine sopra, confrontando la fila di letterine indicate come primer_FOR e primer_REV con gli altri virus, vedrete che corrispondono alla sequenza di Sars-CoV-2, ma non agli altri coronavirus umani comuni. In altre parole, la Pcr usata nel tampone molecolare per Sars-CoV-2 non potrebbe mai «fotocopiare» per errore frammenti del genoma di altri comuni coronavirus e dare quindi un falso risultato positivo.

In conclusione

L’ipotesi complottista che il numero dei contagiati da Sars-CoV-2 sia artificialmente gonfiato da test non specifici si è ripresentata più volte; ne abbiamo già discusso un’altra variante qui. In questo caso la nota di Scoglio mostra dati e argomenti che possono essere convincenti a un occhio inesperto, ma che in realtà sono del tutto fuori contesto.

Come abbiamo visto, e come dimostrano peraltro i documenti stessi che Scoglio cita a supporto della sua analisi, l’unico virus in circolazione con cui il tampone può dare risultato positivo, al momento, è il virus Sars-CoV-2. Gli unici altri virus con cui il tampone può dare positività sono il virus della scomparsa Sars o altri virus analoghi dei pipistrelli che non circolano nell’essere umano. Non c’è alcuna possibilità che i tamponi, se correttamente progettati, possano dare falsi positivi dovuti ad altri coronavirus umani in circolazione: lo dimostrano sia l’analisi genetica, sia gli esperimenti.

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