Che cosa sappiamo della nuova variante di Sars-CoV-2 diffusa nel Regno Unito - Facta
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Che cosa sappiamo della nuova variante di Sars-CoV-2 diffusa nel Regno Unito

Proprio mentre l’Europa, con il resto del mondo, sta approvando finalmente i primi vaccini contro il virus Sars-CoV-2, responsabile della pandemia di Covid-19, il 14 dicembre 2020 è arrivata la notizia – annunciata alla Camera dei Comuni dal segretario alla salute del Regno Unito Matt Hancock – di una variante del coronavirus che potrebbe essere capace di diffondersi più velocemente. Di fronte a ciò l’Italia, insieme ad altri Paesi europei, ha sospeso il 20 dicembre i voli da e verso il Regno Unito, che da parte sua si sta avviando verso un lockdown nazionale.

Vediamo che cosa sa al momento la comunità scientifica, e che cosa no, su questa nuova variante di Sars-CoV-2.

La nuova variante

La variante (denominata Vui-201012/01 o B.1.1.7)[1] del virus Sars-CoV-2 è stata identificata per la prima volta il 20 settembre 2020 nella contea inglese del Kent e il 21 settembre 2020 a Londra. Secondo il rapporto dell’European Center for Disease Control (Ecdc) del 20 dicembre 2020, la variante si è diffusa rapidamente nel sud-est dell’Inghilterra, specialmente a Londra e nel Kent, ma è presente, anche se ancora minoritaria, anche nel resto del Regno Unito. Alcuni casi sono stati rintracciati in Europa: al 20 dicembre 2020 nove casi in Danimarca, quattro in Belgio, un caso nei Paesi Bassi e due in Italia; inoltre secondo Ecdc se ne conosce uno in Australia. 

Vui-201012/01 è una variante del virus che contiene un numero inusuale di mutazioni. La maggior parte dei ceppi di Sars-CoV-2 mostra poche mutazioni accumulate gradualmente, a un tasso circa costante di 1-2 mutazioni al mese; Vui-201012/01 conteneva già 17 mutazioni quando è stato identificato. Otto di queste mutazioni modificano la proteina spike, che permette l’ingresso del virus nelle nostre cellule e che è anche il bersaglio dei vaccini. In particolare questa variante combina due mutazioni finora osservate solo separatamente: N501Y, che sembra aumentare l’affinità del virus per la proteina umana Ace2, che il virus usa come “serratura” di ingresso nel nostro corpo, e P681H, all’interno di un sito della proteina spike che è importante per l’ingresso nelle cellule del sistema respiratorio. Esperimenti sui topi suggeriscono che N501Y sia associato a una maggiore infettività. Inoltre, nella variante VUI-202012/1 è presente anche un’altra mutazione, Δ69-70, finora osservata quasi solo nei ceppi di Sars-CoV-2 che infettano i visoni e che potrebbe aiutare il virus a sfuggire alla risposta immunitaria.

Come si è originata

Circa l’origine di questa nuova variante di Sars-CoV-2, al momento tutto quello che abbiamo sono delle ipotesi. Secondo il Covid-19 Genomics Consortium Uk (CoG-Uk), (l’istituto che coordina la raccolta dei dati genetici del virus nel Regno Unito) il tipo di mutazioni del virus suggerisce, anche se ancora non è dimostrato, che si tratti di un’evoluzione del virus adattativa. In altre parole, stiamo vedendo in azione l’evoluzione per selezione naturale secondo Darwin: i mutanti del virus più capaci di replicarsi, diffondersi e sfuggire alle nostre difese riescono a riprodursi di più, e l’accumularsi di queste variazioni di cui solo le più efficaci sono selezionate dall’ambiente porta infine all’emergere di un ceppo relativamente diverso dai precedenti.

Nello specifico, i ricercatori del CoG-Uk hanno ipotizzato, in un rapporto del 19 dicembre, e prima in un articolo apparso il 14 dicembre 2020, che il mutante possa essersi originato in un paziente immunosoppresso trattato con plasma. Come spiegano nel rapporto, in pazienti con deficit del sistema immunitario l’infezione da Sars-CoV-2 può durare anche mesi. Non essendo “tenuto a bada” dal sistema immunitario,  all’interno dei pazienti si diffondono numerosi virus contenenti una o più mutazioni: il materiale grezzo su cui agisce l’evoluzione darwiniana.

Quando questi pazienti vengono trattati con plasma iperimmune, ecco che di questi mutanti vengono selezionati quelli più resistenti agli anticorpi del siero somministrato al paziente. È un fenomeno che è stato osservato in almeno un paziente del Regno Unito, secondo uno studio pubblicato il 19 dicembre 2020: in questo specifico caso il virus peraltro ha evoluto anche la mutazione Δ69-70, una di quelle presenti nella variante Vui-201012/01.

Di nuovo, si tratta al momento solo di ipotesi di lavoro, per quanto coerenti con le nostre conoscenze sul virus.

Perché ci preoccupa

Non abbiamo abbastanza dati per sapere se questa variante causi una malattia più o meno pericolosa. Secondo il verbale della riunione del gruppo di consulenza sulle malattie respiratorie del Regno Unito (Nervtag), al 18 dicembre 2020 erano noti 4 decessi su circa 1.000 casi identificati della nuova variante. L’unico dato che abbiamo sulla virulenza, per ora, è che la carica virale nei pazienti sembra circa cinque volte più elevata. 

C’è invece la seria possibilità, anche se tutti i dati sono preliminari, che sia una variante capace di diffondersi più facilmente. Sempre secondo Nervtag, la crescita di questa variante è infatti dal 67 al 75 per cento più rapida rispetto alle altre. Sembra anche che questa crescita corrisponda a un aumento del numero di riproduzione R del virus (il numero medio di contagiati a partire da un positivo al virus) di 0,4-0,9. Quando si diffonde liberamente, il virus Sars-CoV-2 ha un R tra 3 e 4 secondo alcune stime, anche intorno a 6 secondo altre stime più recenti; ovvero ogni contagiato in media infetta dalle tre alle sei persone. Per confronto l’influenza, che sappiamo diffondersi rapidamente ogni anno, ha un R tra 1,4 e 1,7. Controllare la pandemia, che si faccia con i lockdown o con altri interventi, significa mantenere R sotto a 1; appena sale sopra a 1, il virus si diffonde. Un suo aumento anche relativamente piccolo può quindi fare la differenza tra restare sotto la soglia di controllo o superarla. 

Paul Hunter, microbiologo e professore di medicina all’Università dell’East Anglia, ha commentato al Financial Times: «Un aumento di R di 0,4 o più è una pessima notizia. Durante il lockdown nazionale di novembre [nel Regno Unito] il meglio che siamo riusciti a ottenere era un R tra 0,8 e 1,0. Questo significa che, anche se tornassimo in lockdown, non riusciremmo a portare R sotto a 1,0».

Secondo Nervtag, la variante Vui-201012/01 è cresciuta esponenzialmente durante il periodo di lockdown tra l’inizio di novembre e l’inizio di dicembre, a scapito degli altri ceppi virali: un ulteriore indizio di un «sostanziale incremento nella trasmissibilità rispetto alle altre varianti». Il 21 dicembre 2020 gli scienziati di Nervtag hanno dichiarato che la nuova variante potrebbe contagiare i bambini tanto quanto gli adulti, a differenza dei ceppi virali finora noti.

È fondamentale ricordare che i dati sono preliminari e possono cambiare o essere smentiti man mano che emergeranno altre informazioni.

Che cosa accade con i vaccini

La risposta breve è: nessuno lo sa, e finché non ci saranno dati è bene diffidare di chi fa previsioni ottimiste o pessimiste. L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) in occasione della conferenza stampa del 21 dicembre 2020 con cui annunciava l’approvazione europea del vaccino Pfizer-BioNTech, ha ricordato che al momento non ci sono prove che il vaccino non protegga contro questa variante. Secondo Nervtag, il fatto che le mutazioni siano proprio sulla proteina spike, ovvero quella che i vaccini insegnano a riconoscere al sistema immunitario, può essere un motivo di preoccupazione. Questa possibilità è però inserita tra le questioni su cui non ci sono ancora dati per trarre conclusioni. 

Secondo il British Medical Journal, in una serie di domande e risposte pubblicate il 16 dicembre 2020, «i vaccini inducono anticorpi contro molte regioni della proteina spike, quindi è improbabile che un singolo cambiamento renda il vaccino meno efficace». Lo stesso articolo precisava però che in futuro, se si accumuleranno mutazioni, potrebbe esserci bisogno di modificare il vaccino, un po’ come accade per l’influenza. Il virus Sars-CoV-2 per fortuna non muta altrettanto velocemente dell’influenza e, come abbiamo visto, con i vaccini a mRna creare varianti è molto facile. 

In conclusione

Le mutazioni dei virus sono un fenomeno naturale e di per sé che Sars-CoV-2 muti non è motivo di preoccupazione. Ci sono alcuni motivi però per cui la variante diffusasi nel Regno Unito nella seconda metà di dicembre 2020 è un caso speciale: presenta un numero particolarmente elevato di mutazioni, alcune di queste potrebbero essere correlate alla capacità del virus di sfuggire meglio al sistema immunitario e ci sono forti indizi di una più rapida capacità di diffusione. Al momento però i dati disponibili sono ancora pochi: in particolare non sappiamo se il decorso della malattia sia diverso, né che effetto ci sarà, se ci sarà, sull’efficacia dei vaccini.

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[1]La sigla Vui-202012/o1 significa «first Variant Under Investigation in December 2020» ovvero «prima variante sotto indagine del dicembre 2020». B.1.1.7 è invece il codice identificativo corrispondente alla variante nell’albero evolutivo del virus, secondo la nomenclatura descritta qui.

Immagine di copertina da Flickr: 30/09/2020. London, United Kingdom. Prime Minister Boris Johnson holds a Covid-19 Press Conference with Chief Scientific Adviser, Sir Patrick Vallance and Chief Medical Officer, Professor Chris Whitty, in 10 Downing Street. Picture by Pippa Fowles / No 10 Downing Street

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Comments (1)

  • GIORGIO MENNELLA

    Grazie

    reply

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