Logo
Questo articolo ha più di 38 mesi

I no vax non sono quelli che pensiamo

[…]

23 agosto 2021
Condividi

Il 16 agosto 2021, Carlo Calenda ha lanciato un’iniziativa probabilmente inedita nel nostro Paese: una marcia «sì vax», allo scopo di «reagire a questa deriva irrazionale, pericolosa e insensata». È l’ultima reazione della politica, dopo le esortazioni di Mario Draghi e di Enrico Letta ai cosiddetti “no vax”, le persone che rifiutano la vaccinazione e anzi fanno, in alcuni casi, propaganda attiva contro di essa. Spesso per chi ha fiducia nella scienza e nella medicina l’atteggiamento dei no vax può sembrare incomprensibile e altrettanto spesso, da medici e scienziati, è derubricato a mancanza di cultura o intelligenza.

In realtà quello del rifiuto nei confronti dei vaccini è un fenomeno molto complesso e articolato, le cui motivazioni non sono tutte uguali, non sono riducibili alla semplice mancanza di cultura scientifica e possono cambiare anche nel corso del tempo per una stessa persona. Vediamo di capire da cosa deriva il timore e il rifiuto dei vaccini, per delineare una via d’uscita.

L’antivaccinismo è antico quanto i vaccini

«Il vaccino è un veleno»; «Scagliati nel terrore dai folli deliri di una stampa impazzita, migliaia di persone corrono verso le falsità dei vaccinatori»; «Oltraggio alla libertà personale: lavoratori e donne costretti a essere vaccinati!!»; «Le persone sono forse così codarde e povere di spirito e indipendenza da sottomettersi docilmente a questa disprezzabile tirannia dei dottori?».

Un no vax terrorizzato dal vaccino anti-Covid-19? No, citazioni da un pamphlet diffuso nel 1885 nella città canadese di Montréal.

L’antivaccinismo infatti è antico come i vaccini. Un anno dopo il Vaccination Act del 1853, che nell’Inghilterra vittoriana rendeva obbligatoria la vaccinazione contro il vaiolo per tutti i bambini entro i primi tre mesi di vita, veniva pubblicato il manifesto “Le nostre libertà mediche”, che fin dalle prime pagine denunciava come la legge volesse rendere le persone «schiave della professione medica» ed elencava molti classici della disinformazione sui vaccini ancora attuali: i vaccini non sarebbero stati efficaci e la maggioranza dei casi di vaiolo accadrebbe tra i vaccinati, il vaccino peggiorerebbe la malattia, ci sono stati decessi dopo il vaccino, e così via. Nel 1867, quando venne esteso il Vaccination Act del 1853, obbligando alla vaccinazione contro il vaiolo tutti i minori di 14 anni, gli antivaccinisti formarono quasi immediatamente una Lega Contro la Vaccinazione Obbligatoria.

Tra gli antivaccinisti all’epoca c’erano anche scienziati celebri. Come Alfred Russel Wallace, che ipotizzò l’evoluzione per selezione naturale assieme a Charles Darwin e l’epidemiologo Charles Creighton. Quest’ultimo argomentava che la vaccinazione fosse uno «sporco avvelenamento del sangue con materiale contaminato» e che Edward Jenner, colui che sviluppò le prime vaccinazioni contro il vaiolo, non fosse che un truffatore avido di denaro.

Alla base di questa opposizione c’erano due fattori. Il primo, un sottobosco di medicine alternative non molto diverso dall’attuale, con omeopatia, spiritualismo, guarigione naturale e idroterapia in contrasto con la medicina ufficiale. Il secondo, le ideologie concentrate sulla libertà personale secondo cui «se anche la vaccinazione fosse la più grande benedizione, non sarebbe dovere dello stato forzarla». Vedremo come questi fattori ricorrano fino a oggi nel rifiuto dei vaccini.

Gli antivaccinisti prima della Covid-19

È essenziale distinguere tra antivaccinisti radicali, che rifiutano attivamente i vaccini, dagli esitanti vaccinali, ovvero persone che, nonostante non siano contrarie ai vaccini in modo preconcetto hanno dubbi, preoccupazioni o altre motivazioni che fanno loro rallentare o evitare le vaccinazioni.

Prima della Covid-19, il dibattito sull’esitazione vaccinale era giocoforza legato alle vaccinazioni pediatriche. Uno studio del 2018 dell’Istituto superiore di sanità su 3.130 persone aveva radiografato l’esitazione e il rifiuto vaccinale dei genitori italiani. I no vax veri e propri erano molto pochi, lo 0,7 per cento del campione, ma gli esitanti erano una percentuale importante, il 15,3 per cento. I principali motivi di rifiuto del vaccino erano legati al timore di effetti collaterali, al timore per l’età troppo giovane del bambino da vaccinare o a dubbi sull’utilità dei vaccini. Gli esitanti vaccinali, in generale, sembrano più simili, per attitudini e background, al campione di genitori pro-vaccini rispetto che ai no vax. La percentuale maggiore di esitazione o rifiuto vaccinale era presente al centro-sud e tra i genitori con due o più figli. Gli esitanti vaccinali erano più rappresentati tra le persone con almeno una laurea (17,7 per cento, contro il 13,7 per cento di esitanti con titolo di studio pari o inferiore al diploma).

Gli antivaccinisti ritenevano il web una fonte affidabile di informazione nel 61,1 per cento dei casi, contro il 31,1 per cento dei pro-vaccino; viceversa solo il 47,4 per cento di questi riteneva il pediatra una fonte competente, rispetto al 77,6 per cento degli esitanti e l’88,4 per cento dei pro-vaccino.

Come sono cambiati gli antivaccinisti con la Covid-19

Un recente sondaggio su mille persone commissionato dal Corriere della Sera a Ipsos e pubblicato il 2 agosto 2021, ha restituito un quadro dell’esitanza e rifiuto vaccinale attuale sui vaccini contro la Covid-19 che contrasta in parte con quello degli antivaccinisti che conoscevamo prima. Non deve stupire, perché si tratta di un campione molto diverso rispetto a quando la questione riguardava soltanto le vaccinazioni pediatriche: non sono solo genitori ma persone di tutte le fasce di età, che devono decidere per un vaccino che riguarda sé stessi e non (solo) i propri figli, per una malattia nuova e che ha monopolizzato il discorso pubblico per un anno e mezzo.

Innanzitutto i no vax sono, come percentuale, decuplicati: coloro che affermano di non voler fare sicuramente il vaccino sono il 7 per cento del campione; gli esitanti sono il 10 per cento. La maggioranza dei no vax e degli esitanti è localizzata al Nord-est (10 per cento di no vax e 15 per cento di esitanti, contro solo un 4 per cento di no vax e 10 per cento di esitanti al Sud), al contrario di quanto risultava per le vaccinazioni pediatriche. Questo dato geografico, secondo Silvia Bencivelli – medico, giornalista scientifica e autrice del libro Sospettosi (Einaudi, 2019) sul difficile rapporto tra vari strati della società italiana e medicina ufficiale – potrebbe essere legato all’influenza culturale dei vicini Paesi di lingua tedesca, in cui la popolarità delle medicine alternative è molto alta anche tra i medici.

I no vax sono leggermente di più (11 per cento) tra le persone ad alta condizione economica, ma questa fascia corrisponde anche alla percentuale più bassa di esitanti (4 per cento, contro il 16 per cento della fascia economicamente più svantaggiata). Un alto livello di istruzione inoltre sembra correlato a una maggiore propensione a vaccinarsi, anche qui in contrasto con i dati precedenti alla Covid-19. Gli esitanti e i no vax sono di più nella fascia tra 18 e 49 anni, mentre diventano molto pochi tra le persone oltre i 65 anni (di queste, solo il 4 per cento rifiuta totalmente il vaccino e solo il 2 per cento non è sicuro). Si tratta di dati in linea con quanto si osserva in altri paesi occidentali, come ad esempio questi due studi del 2020 sulla popolazione adulta statunitense, che confermano gli stessi trend.

Bisogna tenere conto che queste percentuali non sono fisse. In Italia, per esempio, le percentuali di rifiuto ed esitazione vaccinale verso i vaccini anti-Covid-19 sono cambiate molto nel giro di pochi mesi. Sempre secondo Ipsos, dal novembre 2020 a luglio 2021 la percentuale di no vax è passata dal 16 all’8 per cento, con un minimo di 6 per cento al 28 maggio 2021. Gli esitanti sono calati dal 42 per cento al 9 per cento.

Infine, le percentuali aumentano se guardiamo solo al campione di persone che devono ancora vaccinarsi. Qui la percentuale di no vax è salita sistematicamente da fine maggio a luglio, arrivando al 23 per cento al 7 luglio 2021. A questo si aggiunge un 26 per cento di esitanti. In altre parole, tra chi non è ancora vaccinato una persona su quattro è effettivamente una persona che rifiuta il vaccino, e una persona su due ha perlomeno dei dubbi. Se al momento quindi no vax ed esitanti non sembrano il principale collo di bottiglia per la campagna vaccinale, potrebbero diventarlo in breve tempo.

Il ruolo della disinformazione

Com’è ragionevole aspettarsi, chi non vuole o non è sicuro di vaccinarsi teme, innanzitutto, i possibili effetti collaterali del vaccino. Gli effetti gravi sono molto rari ma la pericolosità dei vaccini è stata ingigantita su media e social da un bombardamento di falsa informazione.

È difficile avere dati solidi su quanto tali false informazioni influiscano nel complesso, ma alcuni indizi ci dicono che è plausibile abbiano un effetto significativo. Lo studio del 2018 sulle vaccinazioni pediatriche ha trovato una percentuale piuttosto elevata di persone che credevano a notizie false e preoccupanti sui vaccini perfino tra i genitori pro-vaccino. Il 16,2 per cento dei genitori pro-vaccino era comunque convinta che i vaccini possano causare l’autismo, e il 25,8 per cento che i vaccini possano indebolire o sovraccaricare il sistema immunitario. Queste percentuali erano ovviamente molto più alte tra gli esitanti e gli antivaccinisti, ma la diffusione di queste nozioni anche tra genitori comunque disposti a vaccinare mostra quanto sia pervasiva la disinformazione.

Secondo un altro studio è possibile identificare un effetto diretto della disinformazione. La notizia della sentenza del 2012 che accoglieva il ricorso dei genitori di un bambino che sarebbe diventato autistico a seguito della vaccinazione (nonostante tale legame sia scientificamente infondato e basato su una frode), infatti, potrebbe essere stata la causa di una rapida diminuzione dei tassi di vaccinazione sui bambini avvenuta subito dopo.

Per quanto riguarda le vaccinazioni contro la Covid-19, al momento ci sono alcuni studi che identificano deboli correlazioni tra disinformazione, uso dei social media ed esitazione o rifiuto dei vaccini, ma con pochi dati definitivi. Secondo Guendalina Graffigna – professoressa ordinaria di psicologia dei consumi e della salute presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, impegnata col suo gruppo di ricerca in un’indagine sulla psicologia delle vaccinazioni Covid-19 – la combinazione del bias di conferma e degli algoritmi dei social media portano le persone a selezionare e consumare solo le notizie che si conformano ai propri pregiudizi ideologici, un meccanismo di cui avevamo parlato in generale nel rapporto tra psicologia e disinformazione. Le false notizie quindi, rafforzano ulteriormente e alimentano convinzioni e sfiducia pre-esistente.

La sfiducia nella ricerca scientifica

Un dato che ritorna in pressoché tutti gli studi sull’esitazione vaccinale è che il principale fattore in gioco è la fiducia nel sistema sanitario e nella ricerca scientifica, considerata come istituzione ufficiale. Tanto che, per la fiducia nei vaccini, la credibilità delle istituzioni che forniscono informazioni sui vaccini sembra essere più importante delle informazioni in sé.  Collegato a questo è il coinvolgimento attivo nella salute: se una persona sente di poter partecipare direttamente al proprio benessere e al sistema sanitario, invece di sentirsi passiva, tanto più partecipa alla campagna vaccinale.

La fiducia nella scienza in Italia è mutata durante la pandemia, come ci dice Graffigna: all’inizio era molto alta, in quanto veniva vista come l’unica prospettiva di una soluzione, per poi scemare in seguito a causa dei toni e delle dichiarazioni contraddittorie di vari scienziati sui media, percepiti quindi come poco coerenti.

Un problema che si può risolvere, sempre secondo Graffigna, solo creando una relazione di fiducia tra il pubblico e degli interlocutori scientifici affidabili. Cosa che finora in Italia non ha funzionato, come ha detto a Facta: «Secondo me anche scienziati di per sé blasonati hanno alimentato la distanza tra il pubblico e la scienza, mentre viceversa alcuni divulgatori scientifici si sono fatti carico del vuoto comunicativo e sono riusciti a creare una relazione umana con il pubblico. C’è stata una fortissima assenza comunicativa dei canali istituzionali, come l’Istituto superiore di sanità o il Ministero della salute, che solo ora stanno provando a rilanciarsi sui social e a creare una relazione di fiducia col pubblico».

A questo proposito è interessante notare come nei forum antivaccinisti sui social, come nel caso del gruppo Facebook di Comilva (associazione per la «libertà di scelta» sulle vaccinazioni, considerata vicina ai no vax), prevalgano le richieste di informazioni: segno che una parte del pubblico si avvicina a queste correnti antiscientifiche nel momento in cui si trova smarrita alla ricerca di informazioni che non riesce a ottenere, o di cui non si fida, dalle fonti ufficiali.

Medici che danno il cattivo esempio

Il problema è che non tutti gli interlocutori che dovremmo considerare affidabili si sono, in pratica, rivelati tali.

È vero che, nell’indagine del 2018 di cui abbiamo parlato in precedenza, i pediatri sono la fonte di informazione più consultata dai genitori pro-vaccini o esitanti, mentre questo non vale per i genitori no vax, di cui solo il 38,1 per cento si è rivolta al pediatra per informazioni sui vaccini. Ma è anche vero che in una percentuale non insignificante di casi i medici non ha consigliato di fare i vaccini, o ha consigliato di farne solo alcuni; solo l’84 per cento dei genitori ha ricevuto esplicitamente, dal medico, l’indicazione di vaccinare pienamente i bambini. Un’analisi del 2012 ha riscontrato inoltre che quasi un quarto dei contenuti anti-vaccinisti presenti in rete erano scritti da medici. Un dato che purtroppo non deve stupire: la principale frode scientifica che ha contribuito al rifiuto dei vaccini, quella sul legame tra vaccini e autismo, è stata costruita da un medico (poi radiato), Andrew Wakefield.

Durante la Covid-19, le cose purtroppo non sono cambiate. Abbiamo visto numerose dichiarazioni scientificamente discutibili provenire da scienziati e medici. Il problema esiste anche fuori dai salotti televisivi: un sondaggio del 2021 ha mostrato, per esempio, che circa il 6 per cento degli operatori sanitari in Francia e altri paesi francofoni non raccomanderebbe il vaccino contro la Covid-19 ai propri pazienti. In generale, l’esitazione vaccinale tra gli operatori sanitari varia moltissimo nei vari Paesi del mondo, dal 4,3 per cento registrato in Cina al 72 per cento del Congo; in Italia si attesta intorno al 7 per cento, secondo un sondaggio pubblicato a gennaio 2021.  Si tratta di un problema che esisteva anche in precedenza, ad esempio per quanto riguardava il vaccino antinfluenzale.

I vaccini come questione politica

L’altro grande fattore correlato alla volontà o meno di vaccinarsi è l’attitudine politica e ideologica. Un fattore che, come avevamo discusso in passato, si era già rivelato importante per altre credenze pseudoscientifiche, come il negazionismo del riscaldamento globale, e la Covid-19 non fa eccezione. Diversi studi hanno mostrato che il nostro atteggiamento verso la pandemia e le misure prese per contrastarla si divide lungo linee politiche, inclusa l’attitudine nei confronti dei vaccini. Anche l’appartenenza religiosa sta diventando un fattore.

Il sondaggio Ipsos sull’attitudine dei cittadini nei confronti dei vaccini conferma un quadro, almeno in parte, politicamente diviso: il 14 per cento degli elettori della Lega e il 10 per cento degli elettori di Fratelli d’Italia infatti dichiara di non voler fare sicuramente il vaccino, contro il 2 per cento del Pd e il 7 per cento del M5S.

Secondo i risultati dell’EngageMinds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, (centro di ricerca multidisciplinare sul coinvolgimento delle persone nelle condotte di salute e dei consumi alimentari) un aspetto molto importante nel predire la propensione a vaccinarsi (non solo nel caso della Covid-19) è il senso di responsabilità sociale. Le persone più altruiste sono portate a vedere la vaccinazione soprattutto come un atto necessario nei confronti della società, mentre le persone con una visione più individualistica tendono ad avere più dubbi e a calcolare il bilancio costi-benefici esclusivamente personale.

Altri fattori psicologici

Infine, ci sono altri fattori psicologici che possono spingere lontano dal vaccino. Silvia Bencivelli, nel già ricordato Sospettosi, cita il ruolo della percezione del rischio, che per i vaccini è particolarmente complesso – come avevamo discusso anche su Facta in passato: «Per esempio, noi accettiamo un rischio sotto il nostro controllo e sotto la nostra responsabilità meglio di un rischio delegato a mani altrui […]. Accettiamo meglio i rischi naturali (le malattie traquesti) di quelli umami. E accettiamo meglio i rischi legati al non avere fatto qualcosa dei rischi dovuti all’avere fatto qualcosa.»

Guendalina Graffigna invece ricorda il ruolo di aspetti psicologici come la propensione all’ansia. «Più le persone sono in ansia a causa della Covid-19, o hanno avuto una reazione depressiva in seguito alle misure di contenimento» – ha raccontato a Facta Graffigna – «più sono esitanti verso i vaccini. È quella che chiamiamo in psicologia la ‘sindrome del bambino scottato’: chi era già in ansia per la situazione precedente poi ha timore anche del vaccino, specie se influenzato da notizie diffuse dai media sui presunti effetti collaterali».

Un altro aspetto è la tendenza psicologica al cospirazionismo, ovvero quella propensione a vedere sempre una intenzione maligna dietro agli eventi. È una tendenza, secondo Graffigna, in crescita in Occidente inclusa l’Italia, in parallelo con il calo della fiducia nelle istituzioni sanitarie e scientifiche. Le persone con certi tratti di personalità possono essere più facilmente spinte a questa tendenza al sospetto, e quindi anche a credere a false notizie che corroborano questa visione cospirativa del mondo.

In conclusione

L’antivaccinismo, sebbene oggi alimentato anche dai social media, è un fenomeno antico quanto i vaccini, e che ha molteplici radici culturali e psicologiche. Non esiste un solo antivaccinismo, ma esiste uno spettro di attitudini negative sui vaccini, che vanno dal rifiuto totale nutrito di narrazioni cospiratorie al sincero dubbio, e che muta a seconda dei vaccini di cui si parla. Spettro in cui una stessa persona può muoversi nel tempo a seconda di come cambia la comunicazione e la percezione dei vaccini e del sistema scientifico-sanitario che li sviluppa, consiglia e somministra.

Ci sono certamente fattori immediati su cui si può agire, dalla diffusione delle notizie false che aumentano l’incertezza e rafforzano le convinzioni degli antivaccinisti, allo sviluppo di una comunicazione affidabile da parte degli organismi ufficiali e della comunità scientifica, all’inquietante fenomeno di medici e scienziati che diventano autori e diffusori di nozioni false e terrorizzanti. Ci sono anche però questioni di fondo su cui bisognerà agire a lungo termine, a partire dalla sfiducia nei confronti della ricerca scientifica e dell’industria farmaceutica, sfiducia a cui contribuiscono anche problemi reali di quel sistema. Abbattere la diffidenza nei confronti dei vaccini e, più in generale, della medicina, richiederà un lavoro che andrà al di là della pandemia da Covid-19 e dovrà riguardare l’intero rapporto tra scienza e società.

LEGGI ANCHE
Potrebbero interessarti
Segnala su Whatsapp