Gli account X (ex Twitter) di Alex Jones e del suo sito complottista Infowars sono stati ripristinati da Elon Musk dopo cinque anni di sospensione, decretata dalla piattaforma nel 2018 (quando Musk non era il proprietario) in seguito alle molestie fatte in una diretta su Periscope – l’app di X per trasmettere in streaming – ai danni del giornalista della CNN Oliver Darcy.
La riammissione è stata decisa in seguito a un sondaggio lanciato da Musk sul reintegro di Jones, che ha raccolto il 70 per cento di voti favorevoli. «Il popolo si è espresso e bisogna prenderne atto», ha twittato al termine della consultazione.
Secondo una ricostruzione della rivista Rolling Stone, il proprietario di X sarebbe stato influenzato dallo stesso Jones, recentemente intervistato dall’ex conduttore estremista di Fox News Tucker Carlson – che ora ha un proprio programma sulla piattaforma. In un breve video di lancio dell’intervista pubblicato dalla moglie Erika Wulff su X, Jones si rivolge a Musk definendolo «un assolutista della libertà d’espressione» che però «non mi ha ancora fatto tornare su Twitter: spero che guarderà questa intervista [con Carlson] e ascolterà le mie ragioni».
Il ritorno di Jones su X è stato celebrato da influencer misogini come Andrew Tate – attualmente sotto indagine in Romania per stupro, tratta di esseri umani e associazione a delinquere – e rappresenta una delle decisioni più controverse della gestione di Musk, già caratterizzata dal vertiginoso aumento di contenuti estremisti, complottisti e antisemiti.
Paradossalmente, nel novembre del 2022 lo stesso proprietario aveva categoricamente escluso che l’account di Jones potesse essere ripristinato, menzionando il suo ruolo nella diffusione delle teorie del complotto negazioniste sulla strage alla scuola elementare Sandy Hook del 2012 (su cui torneremo più avanti). «Il mio primogenito è morto tra le mie braccia. Ho sentito il suo ultimo battito. Non ho pietà di chi sfrutta la morte dei bambini per guadagno, fini politici o fama», aveva twittato.
Nonostante il recente reintegro su X, gli account personali di Jones e quelli di InfoWars rimangono sospesi su tutte le altre piattaforme (YouTube, Facebook e Instagram, Apple, Spotify, LinkedIn, Mailchimp e Pinterest) per aver violato le linee guida che regolano i discorsi d’odio, le molestie e la diffusione di notizie false.
Al di fuori della piattaforma di Musk, infatti, Jones rimane pur sempre «l’uomo più paranoico d’America», come lo ha definito la rivista Rolling Stone, nonché il fondatore di quello che secondo vari analisti è il più grande impero mediatico complottista al mondo. Ma com’è arrivato a costruirlo? E perché continua ad avere così tanto seguito? Vediamolo insieme.
Dal Nuovo ordine mondiale all’assedio al Campidoglio
Jones è nato a Dallas (Texas) nel 1974 e si è avvicinato al mondo dell’estremismo politico sin dall’adolescenza. Stando a una scheda compilata dal Southern Poverty Law Center (Splc), un’associazione che contrasta i discorsi d’odio e i gruppi estremisti, il testo che lo ha influenzato più di ogni altro è “None Dare Call It Conspiracy” (in italiano, “Nessuno osi chiamarlo un complotto”) scritto nel 1971 da Gary Allen, il portavoce del gruppo anticomunista di estrema destra John Birch Society.
La cospirazione denunciata da Allen era quella del cosiddetto «Nuovo ordine mondiale». L’espressione affonda le sue radici nella paranoia anticomunista degli anni Cinquanta e Sessanta: secondo vari testi pubblicati in quegli anni – tra cui “The Red Fog over America” (in italiano, “La nebbia rossa sull’America”) dell’ex militare canadese William Guy Carr – un’oscura cricca internazionalista vorrebbe imporre un «governo mondiale socialista» attraverso il controllo occulto di banche, media ed esecutivi nazionali.
La teoria infondata, che ha forti venature antisemite, è esplosa definitivamente negli anni Novanta, quando ha iniziato a circolare all’interno del «movimento dei patrioti», una rete informale di milizie antigovernative di estrema destra che ha avuto una grande espansione nel corso della presidenza del democratico Bill Clinton.
Ed è proprio negli anni Novanta che Jones ha cominciato a farsi notare come conduttore di un programma sulla radio KJFK di Austin. Utilizzando uno stile urlato e volutamente sopra le righe, l’uomo ha rilanciato tutte le teorie dell’estrema destra statunitense di quel periodo: anzitutto quella del «Nuovo ordine mondiale», poi quelle su presunti sequestri di massa delle armi dei civili da parte del governo federale e infine quelle sulla costruzione di campi di concentramento segreti per sbarazzarsi degli attivisti delle milizie antigovernative.
Alla fine del decennio ha fondato InfoWars, un network composto, oltre che dall’omonimo sito web, anche da un programma televisivo e radiofonico chiamato The Alex Jones Show. Dopo l’11 settembre del 2001, Jones ha amplificato ogni possibile teoria del complotto sull’attentato – in particolare quella sulla «demolizione controllata» delle Torri gemelle e dell’inside job (l’auto-attentato) del governo statunitense.
La vera notorietà tuttavia è arrivata con la presidenza Obama. Jones è stato uno dei principali diffusori della teoria razzista secondo la quale Barack Obama non sarebbe nato negli Stati Uniti e dunque non avrebbe potuto diventare presidente. Il fondatore di InfoWars ha inoltre affermato che la moglie Michelle Obama sarebbe in realtà un uomo travestito da donna, aderendo a una teoria del complotto omolesbobitransfobica di cui abbiamo già parlato in passato.
Non è l’unica teoria anti-Lgbtq+ promossa da Jones. Nel 2010 ha dichiarato che il governo degli Stati Uniti avrebbe contaminato l’acqua potabile con sostanze chimiche per aumentare la quota di persone omosessuali. Cinque anni più tardi, Jones ha aggiunto che queste imprecisate sostanze «stanno facendo diventare gay persino le fottute rane».
Negli anni Dieci InfoWars si è progressivamente professionalizzato, diventando anche un negozio online di integratori – venduti come rimedi miracolosi contro le “scie chimiche” o cure per incrementare la mascolinità – e attrezzature rivolte ai prepper, ossia quelle persone (spesso di estrema destra) che si preparano per un possibile collasso della società. Secondo un’inchiesta dell’Huffington Post del 2022, i prodotti di InfoWars hanno portato nelle casse della società centinaia di milioni di dollari.
Jones ha sostenuto attivamente Donald Trump. Nel 2015, quando la candidatura presidenziale non veniva ancora presa troppo sul serio, Trump è apparso su InfoWars elogiando «l’incredibile reputazione» di Jones.
Quest’ultimo ha ricambiato in tutti i modi: dalla diffusione della teoria del «Pizzagate», di cui siamo recentemente occupati, fino a quelle sugli inesistenti brogli alle elezioni. Jones ha anche promosso la manifestazione del 6 gennaio 2021, poi sfociata nell’assedio al Congresso, ed era fisicamente in piazza quel giorno.
Il marchio di fabbrica di Jones: false flag e crisis actor
Il filone complottista preferito da Alex Jones – al punto da diventare un marchio di fabbrica di InfoWars – è senz’ombra di dubbio quello dei crisis actor, di cui ci siamo occupati in questo approfondimento.
In sostanza, le sparatorie di massa che avvengono negli Stati Uniti sarebbero delle elaborate messinscene per portare avanti obiettivi politici occulti, tra cui il sequestro delle armi da fuoco e l’abolizione del Secondo emendamento della Costituzione americana (che sancisce il diritto a detenere e portare armi). Di conseguenza, le vittime delle stragi sarebbero crisis actor, cioè attori pagati per interpretare delle false vittime in situazioni di crisi.
Come ricorda la scheda del Splc che abbiamo precedentemente nominato, Jones ha tirato in ballo fantomatici crisis actor per negare la strage di Tucson (Arizona) del 2011, in cui sono state colpite 18 persone, tra cui l’ex deputata democratica Gabrielle Giffords, rimasta gravemente ferita; la sparatoria in un cinema di Aurora (Colorado) del 2012, in cui sono morte dodici persone; l’attentato alla maratona di Boston del 2013; il massacro di 49 persone al locale Lgbtq+ Pulse a Orlando (Florida) nel 2016, commesso da un simpatizzante dell’Isis, e la strage a un concerto di Las Vegas nel 2017, che è costata la vita a 61 persone.
Ma soprattutto, Jones ha dedicato molto tempo e molte risorse a negare la strage del 14 dicembre 2012 alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown (Connecticut) che ha causato la morte di 26 persone, tra cui 20 bambini. Ancora oggi si tratta della più grave sparatoria scolastica nella storia statunitense.
Le teorie sui crisis actor erano apparse pochi giorni dopo l’eccidio. Il primo a formularle era stato il professore di comunicazione James Tracy, che aveva pubblicato sul proprio blog una serie di articoli che – a suo dire – smontavano la versione ufficiale. Poi era venuto il turno di un altro docente, James Fetzer, autore del libro “Nobody Died at Sandy Hook” (in italiano, “A Sandy Hook non è morto nessuno”), che è stato scaricato dieci milioni di volte.
Jones ha amplificato e fatto proprio le loro tesi su InfoWars, dando così vita al movimento complottista dei Sandy Hook Truther, i sedicenti «cercatori di verità» sulla strage. I familiari delle vittime, ha sottolineato la giornalista Elizabeth Williamson nel saggio “Sandy Hook: An American Tragedy and the Battle for Truth” (in italiano “Sandy Hook: una tragedia americana e la battaglia per la verità”), sono stati costretti a subire un doppio trauma: il primo è stato quello di aver perso i propri figli e le proprie figlie in quel modo, il secondo è stato doversi confrontare con i complottisti, che oltre a negare la strage li hanno molestati in ogni modo.
Nel 2014, giusto per fare un esempio, un uomo della Virginia ha rubato le targhe commemorative di due vittime e in seguito ha telefonato ai genitori per dire di farsene una ragione, visto che i loro figli non erano mai esistiti. Un’altra famiglia, invece, ha dovuto cambiare residenza sette volte per sfuggire ai «cercatori di verità», che ogni volta riuscivano a scoprire l’indirizzo di casa e pubblicarlo online.
Per proteggersi da queste crudeli persecuzioni, molti genitori hanno deciso di fare causa ai truther più in vista, incluso Alex Jones. Finora, i tribunali di vari Stati hanno condannato il fondatore di InfoWars a risarcire un miliardo e mezzo di dollari ai familiari diffamati.
Stando al New York Times, per evitare di pagare quella somma enorme Jones ha dichiarato bancarotta e trasferito milioni di dollari a parenti e amici. Nel novembre del 2023, tuttavia, una corte federale ha sancito che la procedura fallimentare non lo esenterà dal risarcire i parenti delle vittime che hanno vinto le cause.Nel corso di un’udienza alla corte distrettuale di Travis County ad Austin, in Texas, la giudice Maya Guerra Gamble ha detto che «questa persona e questa azienda hanno fatto qualcosa di orribile». Evidentemente, per Elon Musk le azioni di Alex Jones non sono state poi così orribili: altrimenti non avrebbe ripristinato l’account del più seguito – e più dannoso – complottista statunitense, per di più a pochi giorni dall’undicesimo anniversario della strage di Sandy Hook.