Il 2020 sarà inevitabilmente ricordato come l’anno della pandemia da Covid-19, un periodo storico che ha imposto numerose limitazioni e perdite dolorose. Nel bene o nel male, l’Italia è stata tra i protagonisti della pandemia in corso e questo succedersi di avvenimenti ha stimolato la fantasia dei tanti creatori di contenuti disinformativi che in questi mesi abbiamo verificato su Facta. Alcuni casi di disinformazione hanno però avuto più successo di altri, tanto da superare i confini nazionali e conquistarsi la ribalta mondiale.
Quello che segue è dunque un tentativo di ripercorrere le bufale made in Italy più diffuse nel mondo, le notizie prive di fondamento scientifico di cui ci siamo occupati quest’anno su Facta e che grazie alle segnalazioni dei nostri colleghi fact-checker internazionali abbiamo scoperto essere approdate anche all’estero. Cominciamo.
La (falsa) pista della trombosi come causa dei decessi per Covid
La prima storia tutta italiana ad aver valicato la frontiera, tra quelle di cui ci siamo occupati, risale al mese di aprile 2020 ed è quella diffusa dal dottor Giampaolo Palma, un medico regolarmente iscritto all’Ordine della provincia di Salerno dove dirige una clinica cardiologica nel comune di Nocera Inferiore. In un lungo messaggio molto condiviso su Facebook e WhatsApp, a Palma viene attribuita la teoria secondo cui i decessi per Covid-19 diagnosticati come «polmonite interstiziale» sarebbero in realtà dovuti a «tromboembolia polmonare».
Come spiegato l’11 giugno 2020 dall’Istituto superiore di sanità, la polmonite interstiziale è «la conseguenza, meno frequente ma più seria, dell’infezione da Sars-CoV-2; si tratta di una forma particolarmente severa e progressiva di polmonite infettiva, che in pochi giorni può portare a insufficienza respiratoria e richiedere ricovero ospedaliero con trattamenti in terapia intensiva».
Il messaggio del dottor Palma voleva smentire il collegamento tra questa complicazione e i decessi per Covid-19 e per farlo citava 50 autopsie effettuate dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e 20 effettuate dall’ospedale Sacco di Milano, le quali sembrerebbero «confermare in pieno le informazioni sopra riportate».
Tutti gli articoli di fact-checking sulla vicenda, compreso quello pubblicato da Facta, ribadiscono l’infondatezza delle affermazioni contenute nel messaggio. Sebbene la comunità scientifica riconosca il ruolo che possibili complicazioni di natura cardiologica possono avere nei pazienti positivi al nuovo coronavirus, infatti, tutte le evidenze oggi in nostro possesso sottolineano che il virus provoca una polmonite che attacca, in primo luogo, i polmoni e il sistema respiratorio.
Il messaggio formulato da Palma si è ben presto diffuso in tutto il mondo, tradotto in diverse lingue. La prima versione “internazionale” del messaggio sembra essere comparsa il 12 aprile 2020 su una testata online dell’Honduras (l’articolo non è oggi più disponibile online) e il suo contenuto è stato poi riportato in un video del medico honduregno Daniel Dávila Nolasco il 13 aprile. Questi attribuiva il contributo a «colleghi italiani» senza però giudicarne la validità. A seguire, il messaggio si è poi diffuso in Paraguay, Bolivia, Argentina, Messico ed Ecuador.
La disinformazione innescata dal messaggio di Palma è circolata anche in Europa (Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Romania) e negli Stati Uniti (contenuto verificato qui dai colleghi di PolitiFact), arrivando fino in India – dove è stata analizzata dal sito di informazione Boom – e nelle Filippine. La formulazione del messaggio cambia nelle varie lingue, ma i contenuti di base rimangono gli stessi e le tesi vengono sempre ricondotte a dati e ricerche partite dall’Italia.
La mappa dei luoghi in cui si è diffusa la disinformazione sulla trombosi come causa dei decessi Covid
La disinformazione del dottor Petrella
Un altro caso di disinformazione di origine italiana che ha conosciuto fama internazionale è quello diffuso dal dottor Roberto Petrella, un ginecologo che esercita la professione medica a Mosciano Sant’Angelo, paese in provincia di Teramo in Abruzzo. In questo video pubblicato il 12 agosto 2020 sul suo profilo Facebook ufficiale, Petrella si è reso protagonista di numerose affermazioni prive di fondamento, che abbiamo riassunto qui.
Petrella, che è una personalità piuttosto nota in ambienti antivaccinisti, nel video sostiene, tra le altre cose, che «Covid-19 significa certificato di identificazione della vaccinazione con intelligenza artificiale e 19 è l’anno in cui è stato creato», e che dunque non sarebbe il «nome del virus» ma che si tratterebbe di «un piano internazionale per il controllo e la riduzione delle popolazioni». Secondo Petrella, il fine di questo piano sarebbe quello di somministrare «i vaccini più terribili di tutti gli altri» per ridurre la popolazione dell’80 per cento.
Come abbiamo verificato Covid-19 è in realtà il termine scelto l’11 febbraio 2020 dall’Organizzazione mondiale della sanità per indicare la malattia legata al nuovo coronavirus. Le lettere «Co» indicano il termine “corona” (famiglia di virus a cui appartiene Sars-Cov-2), «vi» sta per virus, «d» è la lettera iniziale della parola disease che in inglese significa “malattia” e «19» è l’indicazione temporale dell’identificazione dell’epidemia, che – ricordiamo – è stata fatta risalire alla fine del 2019, con il focolaio di Wuhan in Cina. Il passaggio sul presunto piano di vaccinazione per ridurre la popolazione mondiale è invece un classico del complottismo e si ritrova ad esempio in una dichiarazione di Bill Gates decontestualizzata e strumentalizzata dai movimento no-vax.
Nonostante il video contenga numerose notizie prive di fondamento, questo non ne ha frenato la diffusione. Grazie a CrowdTangle – strumento che permette la ricerca dei contenuti su diversi social network – sappiamo che alla data del 15 agosto 2020 era già disponibile una versione dello stesso filmato con i sottotitoli in spagnolo. Il video è arrivato anche nelle Filippine, in Croazia, negli Stati Uniti, in Brasile, in Argentina e in Perù.
La mappa dei luoghi in cui si è diffusa la disinformazione del dottor Petrella
La lunga fila di bare per i decessi Covid di Bergamo, che non lo erano
Il 18 marzo 2020 sui social network italiani ha iniziato a circolare una foto che mostrava alcune bare suddivise in file all’interno di uno spazio chiuso. L’immagine in questione era accompagnata da un testo in cui si leggeva «STATE A CASA» e secondo l’autore del post sarebbe stata scattata a Bergamo il 17 marzo 2020 e ritrarrebbe bare contenenti persone decedute per Covid-19.
Come avevano al tempo verificato i nostri colleghi di Pagella Politica, la foto risale in realtà al mese di ottobre 2013 e mostra l’hangar dell’aeroporto dell’isola di Lampedusa con dentro 111 bare, dopo che il 3 ottobre 2013 un naufragio nel Mediterraneo aveva provocato circa 400 morti. Anche in questo caso il contenuto falsamente contestualizzato ha fatto velocemente il giro del mondo, approdando già a partire dal 18 marzo nel Regno Unito, Australia, Pakistan, Sudafrica e India.
Per pura coincidenza, questo caso di disinformazione ha preceduto di qualche ora la diffusione di un’immagine reale, scattata a Bergamo nella notte tra il 18 e il 19 marzo 2020, che mostrava dei convogli dell’esercito impegnati a trasportare 65 bare che la città di Bergamo, allo stremo, non poteva seppellire.
Partita dall’Italia e diffusasi in tutto il mondo, la foto delle bare di Lampedusa ha avuto una seconda vita nella disinformazione a luglio 2020. Come avevamo verificato in questo articolo, un filmato pubblicato da ByoBlu (videoblog fondato da Claudio Messora e già inserito da NewsGuard tra i siti che hanno pubblicato informazioni false o fuorvianti sul coronavirus) riportava lo stralcio di un intervento pubblico di Antonietta Gatti, dottoressa laureata in fisica e al centro di polemiche per la diffusione di alcune teorie prive di fondamento scientifico circa l’origine del coronavirus.
In quella circostanza Gatti aveva (erroneamente) sostenuto che durante la quarantena alcuni telegiornali avevano mandato in onda le immagini di «una sala piena di bare ed era un servizio vecchio sui naufragati a Lampedusa». Secondo le nostre verifiche nessuna testata giornalistica ha mai spacciato le bare di Lampedusa per decessi Covid.
Gli altri esempi di disinformazione italiana nel mondo
Durante la prima ondata pandemica ci siamo imbattuti in un caso di disinformazione molto diffuso a livello globale. Si tratta di un filone di notizie secondo cui una flotta di elicotteri, generalmente descritti come appartenenti all’esercito o alle forze di polizia, avrebbe presto rilasciato disinfettanti o pesticidi sulle città con livelli di contagio particolarmente alti, così da sanificare l’area e contrastare il diffondersi del virus.
Come ci hanno segnalato i nostri partner internazionali, l’informazione è circolata in tutti i Paesi in maniera leggermente diversa, ma la notizia è apparsa per la prima volta in Italia a partire da inizio marzo ed è stata poi riscontrata in seguito anche in Spagna, Germania, nel Regno Unito e in Olanda. Come hanno sottolineato tutti gli articoli di fact-checking scritti sul tema, si trattava di una notizia falsa: non c’erano né nel nostro Paese né altrove elicotteri impegnati in questa attività.
Un altro contenuto tutto italiano che ha ottenuto una discreta diffusione all’estero è stato l’intervento alla Camera di Vittorio Sgarbi, tenuto alla fine di aprile. Come hanno raccontato i nostri colleghi di Pagella Politica, il video in cui Sgarbi sosteneva alcune tesi negazioniste volte a ridimensionare la pericolosità della Covid-19 è stato condiviso sui social network da utenti di molti Paesi del mondo, dalla Croazia al Brasile, passando per il mondo ispanofono. Il video dell’intervento di Sgarbi, caricato su YouTube e sottotitolato in lingua inglese (ma ora rimosso dalla piattaforma) alla data del 18 maggio aveva ottenuto oltre 800 mila visualizzazioni.
In conclusione
Il 2020 è stato per l’Italia, come per il resto del mondo, un anno particolarmente doloroso a causa della pandemia da Covid-19. A peggiorare la situazione è arrivata la disinformazione, con la produzione di contenuti che in molti casi hanno superato i confini nazionali.
Emblematici sono i casi di un post Facebook scritto dal dottor Gianpaolo Palma, un video pubblicato dal dottor Roberto Petrella e di una vecchia immagine del 2013, che mostrava le 111 bare contenenti vittime di un naufragio nel Mediterraneo. Partendo da singoli post sui social network, questi tre contenuti hanno ricevuto un’attenzione mondiale, invadendo l’Europa e giungendo fino al Sud America e all’Asia. È la sintesi perfetta di un fenomeno, quello dell’infodemia, che grazie ai social network non conosce confini.