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Non tutte le droghe sono uguali, per la scienza

Alcune sono correntemente utilizzate per scopi terapeutici e generalizzare crea un danno a migliaia di persone malate

28 giugno 2023
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Il 26 giugno 2023 si è celebrata l’annuale Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1987. Per l’occasione alla Camera dei deputati è stata organizzata una manifestazione piuttosto discussa, che vedeva tra i relatori diverse personalità del mondo proibizionista.

Il giorno dopo il governo italiano ha inaugurato una campagna di comunicazione con protagonista il commissario tecnico della nazionale di calcio maschile Roberto Mancini, che nello spot pronuncia lo slogan «tutte le droghe fanno male», senza fare distinzioni tra le cosiddette “droghe leggere”, come i derivati della cannabis e le altre sostanze stupefacenti.

Lo spot istituzionale mette sullo stesso piano sostanze stupefacenti molto diverse tra loro, sulle quali la scienza ha accumulato evidenze non accomunabili e che alcune legislazioni in giro per il mondo hanno iniziato a trattare con approcci differenti.

La normativa italiana
La legge attualmente in vigore in Italia è la cosiddetta “Jervolino-Vassalli” (dal nome dei due proponenti) del 1990 e non considera un reato il consumo di droghe di qualsiasi tipo. Il possesso di droga per uso personale può invece condurre a conseguenze amministrative che possono includere la sospensione della patente o del passaporto, senza alcuna distinzione tra possesso di droghe leggere o di droghe pesanti. La normativa italiana non prevede la possibilità di consumare marijuana per scopi ricreativi, come avviene in alcuni Paesi europei, mentre è legale, seppur con molte limitazioni, il suo utilizzo per fini terapeutici.

La distinzione tra droghe leggere e pesanti entra in gioco quando si parla di produzione e spaccio, per i quali la legge prevede il carcere e la possibilità di ricorrere a misure alternative come l’affidamento in comunità. Tra il 2006 e il 2014 questa normativa era stata modificata da un decreto-legge meglio noto come “legge Fini-Giovanardi”, che aveva eliminato definitivamente la distinzione tra droghe leggere e pesanti, inasprendo le pene sia per la detenzione che per lo spaccio. Nel 2014 la legge è stata tuttavia dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, ripristinando l’impianto della “Iervolino-Vassallo”, seppur con alcune modifiche minori introdotte dal governo Renzi.

Nel 2022 la stessa Corte Costituzionale ha bocciato la proposta di un referendum sulla depenalizzazione della cannabis e sull’eliminazione delle pene detentive per qualsiasi condotta legata esclusivamente alla cannabis e ai suoi derivati, tranne nel caso del traffico illecito. La consulta ha rigettato la proposta, spiegando che questa avrebbe aperto la strada alla coltivazione di piante vietate da trattati internazionali, come la coca e il papavero da oppio. I promotori del referendum hanno rifiutato questa lettura, parlando di una sentenza politica.

Vale la pena aggiungere che a oggi l’orientamento giurisprudenziale sembra aver superato in parte l’assetto della normativa italiana in tema di droghe, considerata piuttosto obsoleta da diversi esperti in materia. Nel 2022, per esempio, la Corte di Cassazione ha stabilito che la coltivazione della marijuana non rappresenta un reato, a patto che questa sia utilizzata per uso personale e non per spaccio.

Droga o terapia? 
La cannabis a scopo medico non è più considerata uno stupefacente dal 2020, anno in cui, dopo un riesame dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la commissione delle Nazioni unite sugli stupefacenti ha deciso di rimuovere la cannabis dalla Tabella IV della Convenzione unica del  1961 sugli stupefacenti, dove era stata inserita insieme agli oppioidi mortali e che creano dipendenza, compresa l’eroina. Oggi nel 2023 viene riconosciuta dalla stessa OMS come una cura.

Le indicazioni terapeutiche della cannabis si leggono direttamente dal sito ufficiale del ministero della Salute: «La prescrizione di cannabis ad uso medico in Italia riguarda l’impiego nel dolore cronico e di quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale». Inoltre il testo continua elencando una serie di patologie compatibili con la prescrizione tra cui: nausea, vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV e altre patologie psicofisiche riguardanti l’appetito e l’anoressia in pazienti oncologici o affetti da Aids. Infine viene prescritta come rimedio al glaucoma e alla sindrome di Tourette.

Assimilare le conseguenze della cannabis a quelle delle droghe pesanti, insomma, significa non tenere in considerazione i circa 50mila pazienti italiani che tuttora devono affrontare la difficoltà della loro malattia e assumono cannabis a scopo terapeutico. Il governo italiano ha autorizzato dal 2017 la preparazione magistrale di prodotti vegetali a base di cannabis, ossia le dosi di farmaco che sono disponibili nelle farmacie italiane, con materie prime di importazione di origine europea e internazionale, al fine di soddisfare la richiesta di approvvigionamento della terapia.

Inoltre nel 2016 in Italia è nato, dalla collaborazione tra il Ministero della Salute e il Ministero della Difesa, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (Scfm) proprio per permettere un migliore accesso alle terapie a base di cannabis con costi adeguati e in modo sicuro. Nello Scfm avviene la produzione e la distribuzione della Cannabis FM2 (contenente THC tra il 5 e l’8 per cento; CBD tra il 7,5 e il 12 per cento), e della Cannabis FM1 (contenente THC tra il 13 e il 20 percento; CBD meno dell’1 per cento), il tutto autorizzato e supervisionato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
THC e CBD sono due principi attivi chiave nella pianta di cannabis, utilizzati a scopo medico per trattare le malattie precedentemente elencate. Questa tipologia di farmaci è distribuita sotto autorizzazione dell’Organismo statale per la cannabis istituito presso il ministero della Salute.

Precisiamo poi che, dal 2016 a oggi, lo Scfm non ha migliorato l’accesso alle terapie a base di cannabis, come testimonia la recente notizia sulla mancanza di personale del suddetto stabilimento e del fallimento nel raggiungere obiettivi di produzione sufficienti a soddisfare la totalità dei pazienti italiani.

La generalizzazione sul fatto che tutte le droghe facciano male sempre e comunque è uno stereotipo che veicola alcune informazioni false, in quanto la realtà in Italia dimostra il contrario dal punto di vista terapeutico, almeno per quanto riguarda la cannabis.

Potenziali rischi del consumo di cannabis
Nei paragrafi precedenti abbiamo appurato che la cannabis terapeutica viene utilizzata al fine di alleviare malattie e problemi psicofisici. È importante precisare, però, che l’uso di tale terapia è da effettuarsi sotto supervisione di un medico qualificato e nel rispetto delle leggi e dei regolamenti in vigore in Italia, citate a inizio articolo, relativi all’uso della cannabis a fini terapeutici.

L’OMS mette in guardia sugli effetti che derivano dall’abuso di cannabis, come: l’alterazione dello sviluppo cognitivo specialmente nei giovanissimi e l’alterazione delle performance psicomotorie di quando si è alla guida, aumentando il rischio di incidenti stradali. Gli effetti cronici, causati dall’abuso ripetuto di cannabis, includono una riduzione delle funzioni cognitive, la possibilità di sviluppare dipendenza psicologica da cannabis, l’aggravamento della schizofrenia in individui predisposti, danni alle vie respiratorie e ai polmoni creati dalla combustione, ed effetti negativi sulla gravidanza.

Inoltre l’OMS ha dichiarato che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio gli effetti della cannabis sulla salute e per sviluppare migliori approcci terapeutici basati sui cannabinoidi.

La cannabis come droga di passaggio
Un altro stereotipo che riguarda la cannabis rientra nella cosiddetta “teoria del gateway”. Questa teoria sostiene che l’utilizzo di sostanze psicoattive “più leggere”, come la cannabis o l’alcol, per essere inseriti in un contesto sociale, può incentivare la scelta di provare sostanze psicoattive più pesanti. La teoria del gateway è nata negli anni Settanta negli Stati Uniti ed è stata promossa nello stesso periodo dal governo statunitense di Richard Nixon durante la “guerra alle droghe”, ossia la repressione totale da parte delle autorità di ogni utilizzo di sostanza stupefacente non autorizzata.

In letteratura sono presenti vari studi che suggeriscono di non consumare cannabis in età adolescenziale a causa della citata teoria del gateway. Ma un recente studio del dipartimento di Psicologia dell’Università del Minnesota, pubblicato sulla rivista Psychological Medicine a gennaio 2023, ha messo in discussione tali conclusioni. Questa ricerca mostra che la cannabis non è una droga di passaggio e che non esistono dati in grado di documentare che questa porti all’uso di altre sostanze più pesanti. Nello stesso studio viene riportato che la legalizzazione della cannabis in Colorado (Stati Uniti) non ha aumentato l’uso e l’abuso di altre sostanze stupefacenti, inclusa la cannabis stessa. Infine i ricercatori hanno riscontrato il potenziale terapeutico della marijuana come soluzione ai problemi derivanti dall’abuso di alcol. L’esperimento è stato fatto analizzando quattromila gemelli di età mista che vivevano distanti tra loro e venivano sottoposti a rigorosi standard di indagine tra cui: età, contesto sociale, ambiente familiare e eredità genetica. Il 40 per cento dei gemelli aveva accesso all’uso di cannabis ricreativa autorizzata dallo stato del Colorado, mentre il restante 60 per cento abitava in uno Stato in cui la cannabis è illegale, quindi non poteva consumarla.

Il risultato dello studio ha evidenziato che la legalizzazione, ossia il consumo libero di cannabis ricreativa per i maggiorenni, non aumenta il rischio di disturbi legati all’uso di sostanze né provoca problemi cognitivi, psicologici, sociali, relazionali o finanziari. L’esperimento è stato condotto prendendo in considerazione diversi fattori di rischio come la storia familiare e i disturbi di salute mentale delle persone coinvolte, per sottolineare la necessità di fare prevenzione e intervenire su casi di abuso di cannabis per persone potenzialmente a rischio.

Le altre droghe terapeutiche
Nei paragrafi precedenti ci siamo concentrati sulla cannabis terapeutica ma questa non è l’unica droga utilizzata per scopi terapeutici. Trattamenti definiti “psichedelici” includono il ricorso a LSD (acido lisergico), psilocibina (funghi allucinogeni), ketamina (analgesico-dissociativo) ed MDMA (3,4-metilenediossimetanfetamina, meglio nota come ecstasy) e sono correntemente utilizzati per la cura delle malattie mentali.

Questi trattamenti coinvolgono l’assunzione controllata e supervisionata di sostanze psichedeliche, di pari passo con un supporto psicoterapeutico dedicato. Numerosi studi hanno mostrato che la psilocibina, il principio attivo dei “funghi magici”, combinata con una terapia psichiatrica adeguata, può portare a miglioramenti significativi nei sintomi depressivi. Allo stesso modo l’LSD è stato sperimentato come potenziale terapia per la depressione resistente al trattamento, ovvero quel tipo di depressione che non è curabile tramite farmaci antidepressivi tradizionali. Nonostante sia un campo di ricerca ancora in evoluzione, questi trattamenti innovativi stanno suscitando interesse e offrendo speranza a molti pazienti che hanno lottato a lungo con la depressione. L’MDMA viene utilizzato per curare il disturbo da stress post traumatico, una malattia mentale che colpisce prevalentemente veterani in seguito a eventi scioccanti. La ketamina invece si è rivelata un potenziale candidato in grado di curare forme di depressione resistenti alle terapie tradizionali.

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