Il 27 dicembre 2020 è iniziata anche in Italia la campagna di vaccinazione contro la Covid-19. Come spiegano in dettaglio i nostri colleghi di Pagella Politica, c’è ancora una discreta confusione su quali saranno le effettive tempistiche e fasi del piano vaccinale, ma si prevede che nei prossimi mesi vengano vaccinate in Italia milioni di persone, con l’obiettivo di ridurre la mortalità da Covid-19, che è stata una delle prime cause di morte del 2020.
Vediamo quindi di fare quanto più possibile chiarezza. Ricapitolando brevemente come funzionano i vaccini e, nello specifico, quelli contro la Covid-19, cerchiamo di capire perché servono due dosi e se è possibile ammalarsi anche da vaccinati. E poi, perché bisogna tenere la mascherina anche dopo aver ricevuto il vaccino?
Come funzionano i vaccini contro la Covid-19 scelti dall’Italia?
In generale i vaccini prevengono una malattia infettiva insegnando al nostro corpo a riconoscere il patogeno e sfruttando la naturale memoria del nostro sistema immunitario, detta immunità adattativa. Quando un virus infetta l’essere umano, il sistema immunitario impara a produrre anticorpi capaci di riconoscerlo e neutralizzarlo.
A infezione finita, un piccolo insieme di cellule del sistema immunitario, dette “cellule memoria” mantengono per molto tempo (in alcuni casi anche per molti anni) la capacità di riconoscere il virus. Se lo si incontra di nuovo, le cellule memoria possono immediatamente scatenare una risposta adeguata estremamente specifica, così da bloccare l’infezione sul nascere.
I vaccini stimolano lo stesso processo mostrando al sistema immunitario parti del virus o una sua versione innocua. Ci sono molti modi per creare un vaccino anti-Covid-19, dall’uso di virus inattivati o indeboliti – simili ad esempio ai vaccini anti-poliomielite – alle singole proteine del virus purificate, come si fa per i virus influenzali. I vaccini contro la Covid-19 che sono stati o saranno acquistati dall’Italia una volta approvati si basano però principalmente su due strategie.
I primi ad essere approvati sono stati i vaccini a mRna, di cui abbiamo già parlato in dettaglio. Si tratta della tecnologia usata dai vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna, ma anche da uno dei due vaccini Sanofi e dal vaccino CureVac. Per riassumere in breve, questi vaccini contengono una molecola – l’mRna– che codifica le istruzioni per costruire un componente del virus Sars-CoV-2, la proteina cosiddetta spike. Questa molecola viene interpretata delle nostre cellule che le usa per costruire la proteina virale. La proteina da sola di per sé è innocua, ma il nostro sistema immunitario impara comunque a riconoscerla e a riconoscere quindi il virus Sars-CoV-2. Si tratta di una tecnologia in sviluppo da molti anni ma che finora non era stata approvata fuori dalle sperimentazioni. I suoi vantaggi principali sono la flessibilità e la sicurezza.
Ci sono poi i vaccini basati su un cosiddetto vettore virale: è il caso del vaccino Oxford/AstraZeneca e del vaccino Johnson & Johnson. A differenza della vaccinazione a mRna, finora mai utilizzata al di fuori delle sperimentazioni, è una strategia già usata con successo in passato (ad esempio per il vaccino contro Ebola). Il concetto di fondo è simile a quello del vaccino a mRna, ovvero trasmettere alle nostre cellule le istruzioni per produrre una proteina virale e farla quindi riconoscere al nostro sistema immunitario. In questo caso però le istruzioni sono veicolate sotto forma di Dna all’interno della capsula di un altro virus.
Questo virus-contenitore, che non è il Sars-CoV-2 ma un adenovirus (un virus del raffreddore) degli scimpanzé, è modificato in modo tale che non possa replicarsi e quindi non può causare alcuna infezione. Sfrutta però la naturale abilità dei virus di entrare nelle nostre cellule per portare un messaggio che desideriamo, in questo caso la costruzione della proteina virale. Questa strategia consente quindi, in linea di principio, una maggiore efficacia rispetto al solo mRna,ma viceversa la capsula virale che funge da vettore può essere riconosciuta dal nostro sistema immunitario e quindi eliminata prima che possa portare il Dna nelle nostre cellule. Entrambe le strategie sono particolarmente sicure e non usano virus vivi, quindi non possono infettarci con una malattia né hanno alcuna possibilità di cambiare il nostro Dna, come paventato da alcune teorie cospirazioniste.
Quanto siamo protetti dopo il vaccino?
Quasi tutti i vaccini approvati o in corso di approvazione contro la Covid-19 richiedono due dosi nel giro di poche settimane per poter fornire la massima protezione dalla malattia. Per esempio il vaccino Pfizer-BioNTech ha un’efficacia stimata del 52 per cento dopo una singola dose, ma del 95 per cento dopo la seconda, somministrata 21 giorni dopo. Il vaccino Moderna sembra avere un’efficacia piuttosto alta già dopo la prima dose, intorno all’80 per cento, e del 94 per cento dopo la seconda. Dare cifre per il vaccino AstraZeneca è complicato a causa dei problemi che ci sono stati durante gli studi clinici, in cui per errore non tutti i partecipanti hanno ricevuto la stessa dose, ma l’efficacia si è rivelata più bassa rispetto ai vaccini a mRna (62 per cento dopo la seconda dose, per i partecipanti che hanno seguito il dosaggio previsto).
Ricordiamo che i vaccini sono stati testati poco sulle fasce più anziane della popolazione, proprio quelle che ne potrebbero trarre più beneficio: problema che era già stato sollevato a luglio 2020 dagli immunologi. Questo perché spesso gli studi clinici dei vaccini cercano di analizzare un campione di pazienti con meno problemi di salute possibile, per non doversi trovare a districare i possibili problemi dovuti al vaccino rispetto a quelli legati alle condizioni di salute precedenti. Solo il 4,3 per cento dei soggetti dello studio clinico di fase III per il vaccino Pfizer-BioNTech aveva più di 75 anni. Allo stesso modo, tra i partecipanti all’analogo studio clinico per il vaccino AstraZeneca/Oxford solo il 12,1 per cento aveva più di 55 anni. Nel caso del vaccino Moderna, solo il 25 per cento dei partecipanti allo studio aveva più di 65 anni.
I dati che abbiamo sull’efficacia del vaccino su queste fasce di età sono quindi molto meno chiari. Basti un esempio: per Moderna l’efficacia stimata oltre i 65 anni di età è dell’86,4 per cento, ma con una forbice che va da 61,4 a 95,5 per cento. Al momento quindi non sappiamo con precisione quali differenze ci siano nella protezione tra le varie fasce di età.
Perché servono due dosi di vaccino?
Sappiamo dall’esperienza clinica passata che molti vaccini hanno bisogno di due dosi successive iniziali per dare piena immunità, producendo un numero sufficiente di cellule memoria. Siccome i vaccini come quelli contro la Covid-19 non sono virus vivi, non imitano completamente l’infezione e quindi una singola somministrazione non scatena una risposta immunitaria completa. La prima dose quindi innesca il sistema immunitario, ma è solo dopo la seconda che viene stimolata una risposta completa.
Nel Regno Unito, a causa dei timori dovuti alla rapida diffusione della nuova variante del coronavirus Sars-CoV-2, è stato deciso dal 30 dicembre 2020 di rimandare temporaneamente la seconda dose e dare invece la massima copertura possibile con una sola, somministrando la seconda dose 12 settimane dopo la prima (invece delle quattro previste).
Questa decisione sta causando dibattito tra gli scienziati: alcuni si sono pronunciati a favore, ritenendo che sia un compromesso necessario per tamponare il contagio a breve termine, mentre altri temono che così facendo ci si affidi a una protezione troppo bassa e che si possano evolvere varianti vaccino-resistenti del virus.
Tra i critici c’è, tra gli altri, Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie infettive (Niaid) degli Stati Uniti e membro della task force del governo americano contro il coronavirus. Resta il fatto che cambiare “in corsa” il regime di somministrazione del vaccino significa entrare in un terreno sconosciuto, non verificato dagli studi clinici, e c’è la reale possibilità che si corrano dei rischi.
Se mi vaccino quanto posso essere sicuro di non ammalarmi di Covid-19?
Il vaccino con i dati migliori, Pfizer-BioNTech, ha un’efficacia intorno al 95 per cento, il che significa che previene i sintomi della Covid-19 nel 95 per cento della popolazione, rispetto ai non vaccinati. Stando ai dati, esiste quindi una piccola possibilità di ammalarsi anche dopo aver ricevuto il vaccino. Un’efficacia del 95 per cento, sia chiaro, è molto buona: per confronto, il vaccino antinfluenzale ha un’efficacia tra il 40 e il 60 per cento.
Precisiamo poi che, come ogni intervento medico, i vaccini si valutano in termini costi-benefici. Il beneficio per la società e per l’individuo di un vaccino che protegge dalla Covid-19 nel 95 per cento dei casi, proteggendo quindi moltissimi da un’importante causa di mortalità e dandoci la possibilità di uscire dalla pandemia, è molto alto rispetto alla minima percentuale di rischio aggiuntivo dovuto alle rarissime reazioni avverse.
Inoltre i vaccini non proteggono subito: come abbiamo accennato sopra, il processo di risposta fisiologica che porta alla memoria immunitaria richiede tempo. Il vaccino Pfizer è efficace al 95 per cento solo sette o più giorni dopo la seconda dose, per esempio. Per questo un caso come quello della dottoressa Antonella Franco di Siracusa, che è risultata positiva il 3 gennaio 2021 al Sars-CoV-2, sei giorni dopo la prima dose di vaccino, non deve sorprenderci né spingerci a credere il vaccino non sia efficace.
Quali sono i possibili effetti collaterali dei vaccini contro la Covid?
Tutti i vaccini presentano dei piccoli rischi di effetti collaterali: che però sono rarissimi e quasi mai gravi. In generale i vaccini sono, come abbiamo spiegato, uno degli interventi più sicuri ed efficaci della storia della medicina, capaci di debellare malattie altrimenti gravissime e incurabili con pochissimi effetti contrari.
Al momento, nonostante gli studi clinici siano stati particolarmente rapidi, i vaccini approvati contro la Covid-19 sembrano sicuri. Come abbiamo spiegato a dicembre 2020, il vaccino Pfizer-BioNTech mostra alcuni effetti collaterali del tutto benigni come febbre, mal di testa e stanchezza. Questo vale anche per il vaccino Moderna e per quello Oxford/AstraZeneca. Rarissimi invece (meno di 1 caso su 10.000) sono gli effetti collaterali gravi, quasi sempre reazioni allergiche molto forti. È un numero superiore a quello di altri vaccini e che ha generato qualche preoccupazione anche tra i ricercatori: ma essendo una reazione che avviene immediatamente dopo la somministrazione del vaccino si tratta di possibili problematiche che vengono risolte sul momento, tenendo i vaccinati sotto osservazione per 30 minuti dopo l’iniezione. Finora tutti i casi di reazione allergica si sono infatti risolti senza gravi conseguenze.
Aggiungiamo poi che sono stati riscontrati quattro casi di paralisi di Bell (una condizione temporanea e benigna) su 22.000 vaccinati con il vaccino Pfizer, ma non c’è ancora conferma che sia un effetto correlato al vaccino. In generale, al momento i vaccini a mRna sono considerati sicuri quanto le altre tecnologie vaccinali.
Quanto dura l’immunità?
Oggi una grossa incognita è quanto durerà l’immunità fornita dai vaccini. Il vaccino Moderna è quello su cui abbiamo i dati più a lungo nel tempo e sembra mantenere una buona risposta immunitaria almeno per tre mesi dopo la seconda dose.
Possiamo capire qualcosa dall’immunità naturalmente acquisita dalle persone guarite dal Covid-19, ma conoscendo Sars-CoV-2 solo da poco più di un anno non è possibile avere dati di alcun genere oltre i 12 mesi. Almeno due studi, uno condotto negli Stati Uniti e uno condotto in Australia, pubblicati il 18 e 22 dicembre 2020, mostrano che il sistema immunitario dell’essere umano mantiene memoria dell’incontro con il Sars-CoV-2 almeno per 6-8 mesi. Gli stessi studi mostrano però che la memoria immunitaria al virus è molto eterogenea da persona a persona, il che può spiegare i casi di reinfezione da Sars-CoV-2.
Sappiamo che per altri coronavirus l’immunità naturale dura circa un anno ma che alcuni soggetti possono reinfettarsi già dopo sei mesi. Esiste poi la possibilità che i vaccini possano indurre una risposta immunitaria più duratura, ma – purtroppo – ancora non sappiamo se sia questo il caso con i vaccini contro la Covid-19.
Per le vaccinazioni contro altri virus c’è una grossa variabilità nella durata dell’immunità. Alcuni vaccini, come quello per l’influenza, perdono molta efficacia già 90-120 giorni dopo la somministrazione, altri vaccini invece danno una protezione che dura decenni. I dati suggeriscono che, in generale, per mantenere un livello ottimale di immunità in molti casi è bene ripetere la vaccinazione nel corso della vita: ancora non sappiamo con certezza se sia il caso per la Covid-19, ma è plausibile.
Il vaccino ci proteggerà dalle varianti del virus?
Come abbiamo visto, si stanno diffondendo nuove varianti del virus Sars-CoV-2 che sembrano avere una maggiore capacità di diffusione, rendendo potenzialmente più difficile il contenimento della pandemia. Al momento non abbiamo dati su se e quanto i vaccini approvati proteggano dalle nuove varianti, anche perché ogni variante fa storia a sé. Uno studio del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle (Usa), pubblicato per ora come preprint il 4 gennaio 2021, indica che se molte mutazioni del virus hanno poco effetto sulla risposta immunitaria, alcune possono ridurre l’efficacia della risposta anche di dieci volte.
Possiamo quindi solo accennare alle previsioni dei ricercatori. Per la variante B1.1.7 diffusasi nel Regno Unito al momento il consenso accademico è che non ci dovrebbero essere grosse differenze sulla protezione data dal vaccino. Sulla cosiddetta variante sudafricana (B.1.351 o 501.Y.V2) sembrano invece esserci più dubbi: Julian W.Tang, virologo clinico dell’Università di Leicester, ha dichiarato il 4 gennaio 2021 a Science Media Center che «la variante sudafricana ha due mutazioni aggiuntive […] che mancano dalla variante inglese. Queste mutazioni potrebbero interferire di più con l’efficacia del vaccino nella variante sudafricana rispetto a quella inglese» ma «questo non significa che i vaccini esistenti non funzioneranno affatto […] Anche se questa variante diventasse dominante, i vaccini […] possono essere modificati per essere efficaci contro questa variante in pochi mesi. Nel frattempo, la maggior parte di noi ritiene che i vaccini esistenti siano probabilmente efficaci contro […] entrambe le varianti».
Per quanto riguarda l’evoluzione a lungo termine del virus, non sappiamo cosa succederà. Uno studio, finora rilasciato solo come preprint e pubblicato dall’Università dello Stato di Washington a Seattle (Usa) il 18 dicembre 2020, mostra che un altro coronavirus umano, il coronavirus 229E che causa sindromi simili al raffreddore, potrebbe essersi evoluto per sfuggire alla risposta immunitaria nel corso di 8-17 anni. Se così fosse anche per il Sars-CoV-2, vorrebbe dire che dovremo aggiornare i nostri vaccini e ripeterli nel corso del tempo, come facciamo ad esempio per l’influenza.
Il vaccino vuol dire la fine delle misure di sicurezza?
Per ora no. Non è impossibile che i vaccinati possano trasmettere comunque il virus Sars-CoV-2. Un vaccino non è uno scudo che impedisce al virus di entrare nel nostro organismo, ma permette al nostro corpo di difendersi in modo efficace dal virus una volta entrato, e quindi di evitare la malattia. Questo significa che il virus potrebbe replicarsi comunque nei punti di ingresso, come naso e gola, ed essere da lì trasmesso. In pratica, se entriamo in contatto con il virus Sars-CoV-2 da vaccinati, potremmo essere dei pazienti asintomatici e quindi contagiosi.
Finora l’unico vaccino su cui c’è qualche dato significativo a proposito è quello Oxford/AstraZeneca, che potrebbe avere una qualche efficacia nel prevenire anche l’infezione asintomatica, anche se al momento è difficile quantificarla a causa dei problemi avuti nei test clinici di quel vaccino. Dati molto preliminari esistono per il vaccino Moderna, che vedono meno infezioni asintomatiche tra i vaccinati: ma i numeri sono troppo piccoli per dare una qualunque informazione.
Per il resto, anche a causa della rapidità degli studi, i vaccini sono stati testati per la loro capacità di prevenire la malattia, non di prevenire l’infezione e il contagio. Questo significa, come ricordato ad esempio l’8 dicembre 2020 dall’immunologo Michael Tal dell’Università di Stanford, che almeno per ora anche i vaccinati non devono abbandonare le precauzioni, come le mascherine o il distanziamento fisico, per non mettere a rischio i non vaccinati. È possibile che in futuro vaccini specificamente progettati per proteggere le mucose siano capaci di eliminare anche questo rischio.
In conclusione
I vaccini finora approvati contro la Covid-19 promettono di essere, a lungo termine, lo strumento migliore per uscire dalla crisi sociale indotta dalla pandemia. Come ha mostrato Lorenzo Ruffino su Pagella Politica, vaccinare le fasce più anziane della popolazione potrebbe ridurre enormemente la mortalità. La tecnologia su cui si basano e i dati in nostro possesso mostrano che i vaccini sono sicuri e, anche tenendo conto della minima percentuale di effetti collaterali, certamente preferibili a un’infezione da Sars-CoV-2.
Questo non significa che possiamo abbassare la guardia: la situazione è ancora complessa. Finché una percentuale molto alta della popolazione (probabilmente intorno al 70 per cento) sarà non solo immune ma anche incapace di trasmettere il virus, il virus avrà la possibilità di diffondersi, e al momento purtroppo non c’è alcuna garanzia che i vaccini possano bloccare la trasmissione. Nel frattempo, come abbiamo visto, anche i vaccinati devono mantenere le precauzioni cui siamo ormai abituati, perché seppure immuni dalla malattia potrebbero mantenere un’infezione asintomatica e passare il contagio ai non vaccinati. È plausibile infine, anche se al momento ci sono solo dati indiretti a suggerirlo, che i vaccini dovranno essere ripetuti nel corso della vita, per mantenere la risposta immunitaria alta e proteggerci dalle varianti future del virus.
Ringraziamo il professor Giorgio Gilestro (Imperial College London, Regno Unito) per utili fonti e riflessioni, alcune delle quali esposte in questo scritto.