di Jacopo Di Miceli
Quando, lo scorso febbraio, il deputato conservatore Nick Fletcher ha accostato al totalitarismo comunista il progetto ambientalista delle cosiddette “città dei 15 minuti” – in cui lavoro, servizi e attività ricreative sono raggiungibili a piedi o in bicicletta in un quarto d’ora –, i suoi colleghi laburisti in aula lo hanno sommerso di risate. Nessuno poteva, però, prevedere che una teoria del complotto sui cambiamenti climatici, secondo cui le élite pianificano nuovi lockdown con il pretesto del riscaldamento globale, avrebbe influenzato le decisioni del governo britannico.
Lo testimoniano documenti visionati dal quotidiano The Guardian, in cui si legge che, a partire dal marzo scorso, il gabinetto Tory guidato da Rishi Sunak ha progressivamente abbandonato le misure anti-inquinamento, adducendo in parte le stesse motivazioni del complottismo climatico. I ministri, preoccupati delle implicazioni delle città dei 15 minuti, avrebbero espresso l’intenzione di rivedere a tutto tondo la mobilità urbana sostenibile, comprese le zone a traffico limitato (LTN, low traffic neighbourhood) e l’introduzione di limiti di velocità sulle strade. Una confusione tra provvedimenti diversi che rispecchia quella delle teorie del complotto, dove l’idea di città dei 15 minuti, che promuove la valorizzazione della vita di quartiere anche nelle metropoli come disincentivo al ricorso all’auto, viene resa indistinguibile da qualsiasi divieto anti-traffico.
Lo hanno sperimentato sulla loro pelle gli amministratori di Oxford, che lo scorso anno sono stati catapultati al centro dell’attenzione complottista nazionale e internazionale dopo aver approvato un progetto pilota che scoraggia i viaggi non necessari in macchina attraverso l’installazione di sei filtri anti-traffico nel centro medievale della città. Prima sono arrivate minacce di morte da tutto il mondo e poi il 18 febbraio 2023, in una grande manifestazione, i dimostranti hanno paragonato il concetto di città dei 15 minuti, che nulla ha in comune con il piano della giunta se non la stessa radice ambientalista, a un incubo autoritario in cui i residenti non potranno allontanarsi dalla zona di appartenenza.
Grazie alle carte in mano al Guardian, ora si scopre che questi timori infondati – fino a pochi mesi fa appannaggio esclusivo di no-vax radicalizzati ed estremisti di destra – sono arrivati a guidare le politiche del governo britannico. Qualche sospetto, a dire il vero, era già emerso lo scorso ottobre. Dopo che Sunak aveva annunciato un piano pro-automobilisti, «troppo spesso sotto attacco», il suo ministro dei trasporti, Mark Harper, si era lanciato in un’invettiva contro le città dei 15 minuti con argomentazioni identiche a quelle delle teorie del complotto. «Quello che è sinistro e che non dovremmo tollerare», aveva detto alla conferenza di partito, «è l’idea che i consigli locali possano decidere quanto spesso si va a fare la spesa, che limitino quando e chi può percorrere una strada e controllino il tutto con telecamere di sorveglianza». In un’intervista alla BBC, il sottosegretario alla sicurezza energetica Andrew Bowie lo aveva poi difeso, sostenendo che le autorità locali non dovrebbero «imporre alle persone di scegliere di accedere ai servizi entro 15 minuti da casa o quanto spesso possano aver bisogno di accedervi».
Eppure è lo stesso governo britannico a fare debunking di sé stesso: in una nota pubblicata a marzo precisava che «le città dei 15 minuti mirano a fornire alle persone una maggiore scelta su come e dove viaggiare, non a limitare gli spostamenti». Anche l’ideatore delle città dei 15 minuti, l’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno, ha scritto a Sunak per avvertirlo che associare il concetto a misure restrittive delle libertà personali «equivale ad allinearsi agli elementi più radicali e antidemocratici» e lo ha invitato a riconsiderare la sua posizione. Il prossimo 29 febbraio, Moreno terrà inoltre una lezione sul tema proprio all’Università di Oxford, segno di quanto si stia spendendo in prima persona per difendere il suo progetto dalla disinformazione.
Ma perché il governo conservatore sta assecondando teorie del complotto così estreme? Apparentemente non c’è nessuna giustificazione razionale, visto che la maggioranza degli elettori appoggia l’estensione dei servizi di prossimità. Sembra un azzardo piuttosto che un calcolo politico o comunque una strategia per screditare dal basso le politiche ambientaliste dei laburisti, come già si è visto in questi anni a livello locale, ad esempio a Birmingham e a Edimburgo.
Da qualche mese, però, la battaglia si è spostata a Londra. Qui è in corso un’accesa polemica contro il sindaco Sadiq Khan per l’implementazione di una vasta zona a traffico limitato (Ulez, ultra low emission zone) che vieta la circolazione ai veicoli più inquinanti, pena una tassa giornaliera di 12,5 sterline (circa 14,5 euro). I requisiti sono abbastanza bassi: in genere li rispettano sia le auto a benzina immatricolate dopo il 2005 sia quelle diesel post-2015. Ciononostante, almeno la metà dei furgoni a uso commerciale registrati nella periferia della capitale non soddisferebbe i nuovi standard anti-inquinamento. L’acquisto di un nuovo veicolo conforme impatterebbe notevolmente sulle finanze dei piccoli imprenditori, pur a fronte di un incentivo di cinquemila sterline per la rottamazione (circa 5.800 euro). Non sorprende, quindi, che oltre la metà degli abitanti della periferia londinese si opponga a ulteriori ampliamenti della Ulez, in opposizione ai residenti del centro, più favorevoli.
Nelle vie interessate dalla Ulez non è così inconsueto trovare blocchi di manifestanti, alcuni dei quali in costumi pittoreschi da dinosauro, che protestano cercando di oscurare pacificamente la visuale alle telecamere. A spingerli sono preoccupazioni economiche, naturalmente, ma anche teorie del complotto sulle città dei 15 minuti. Durante una protesta anti-Ulez, il 15 aprile, diversi esponenti della scena no-vax e complottista erano saliti sul palco, paragonando le città dei 15 minuti ai campi di concentramento e mettendo in guardia da un governo unico mondiale.
Dalle parole si è infine passati ai fatti. Nei primi sette mesi dal varo della Ulez, riporta la polizia di Londra, circa mille telecamere sono state danneggiate o rubate e cinque persone sono state arrestate per atti di vandalismo. I blade-runners, così sono stati soprannominati, si sono conquistati persino la simpatia di un parlamentare conservatore, Ian Duncan Smith, ex leader di partito all’inizio degli anni Duemila. «Sono contento che lo facciano», ha dichiarato, «perché affrontano un’imposizione che nessuno vuole e su cui gli hanno detto menzogne». Un altro esponente Tory, Jason Perry, sindaco di Croydon, sobborgo a sud della capitale, si è scoperto essere l’amministratore di un gruppo Facebook in cui si celebrano i vandalismi contro le telecamere del traffico.
Il 6 dicembre ci è però quasi scappato il morto. Una bomba artigianale a Sidcup, un sobborgo di Londra, è esplosa distruggendo una camera Ulez e provocando danni anche a veicoli e abitazioni. Al termine delle indagini, il comando anti-terrorismo ha arrestato due uomini, di 60 e 61 anni, anche se ancora non è definito il movente dell’attentato. Il sospetto, tuttavia, è che l’attacco dinamitardo sia sobbollito proprio in quel magma complottista che infesta le proteste anti-traffico nella capitale e non solo.
Le strumentalizzazioni politiche dei conservatori, soprattutto in vista degli appuntamenti elettorali del 2024 a Londra e a livello nazionale, pescano dunque in un ambiente vario e pericoloso. A suggerire uno spostamento a destra ha anche contribuito la copertura sproporzionata delle proteste complottiste anti-Ulez da parte dei tabloid conservatori, con toni di pieno endorsement. Sul cappello delle proteste c’è inoltre il Reform Party fondato da Nigel Farage, un partito ormai attivissimo nel campo della disinformazione climatica. Dopo la Brexit, per i conservatori l’isteria anti-ambientalista è insomma il nuovo spazio da occupare prima che lo faccia qualcun altro, ma stavolta il prezzo da pagare potrebbe persino essere più alto.