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I passaporti vaccinali esistono da prima della pandemia e non c’è niente di strano

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21 aprile 2021
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Il 21 aprile 2021 la redazione di Facta ha ricevuto via WhatsApp la richiesta di verificare un articolo, pubblicato il 19 aprile 2021 dal blog personale di Maurizio Blondet (di cui avevamo parlato nella nostra panoramica sulla disinformazione sulla pandemia nel 2020), intitolato «I passaporti vaccinali sono stati progettati prima dell’inizio della pandemia: dalla Commissione Ue». L’articolo è la traduzione di un testo originariamente pubblicato il 14 aprile 2021 da Great Game India, sito descritto da Blondet come «il più serio e professionale dei siti indiani di geopolitica» ma che in realtà pubblica soprattutto teorie della cospirazione: è all’origine della bufala secondo cui il coronavirus Sars-CoV-2 sarebbe un’arma biologica e ha diffuso altre false notizie sulla pandemia.

Secondo l’articolo pubblicato da Blondet, in un documento della Commissione europea del 26 aprile 2018, intitolato «Proposta di raccomandazione del consiglio relativa al rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino» ci sarebbe stata, come azione principale consigliata, «esaminare la fattibilità dello sviluppo di una carta/passaporto comune per le vaccinazioni».

Si tratta di una notizia presentata in modo fuorviante. È vero che la Commissione europea ha proposto di uniformare le tessere che documentano le vaccinazioni nell’Unione europea, anche nell’ottica degli spostamenti tra Paesi diversi, ma non c’è niente di anomalo in tutto questo. Inoltre il concetto di «passaporto vaccinale» è sì precedente alla pandemia, ma non è stato sviluppato dall’Unione europea: si tratta di un’idea che risale a secoli addietro e tuttora in uso.

Secondo il documento, il Consiglio d’Europa ha accolto con favore la proposta della Commissione di mettere a punto «una tessera/un passaporto delle vaccinazioni comune per i cittadini dell’Unione europea» per uniformare e aggiornare gli attuali documenti sulle vaccinazioni, come l’attuale libretto vaccinale italiano, all’interno dell’Unione europea. La Commissione europea infatti ha argomentato che una tessera delle vaccinazioni comune in Europa «garantirebbe la continuità dell’immunizzazione quando i cittadini, in particolare i bambini, si trasferiscono da uno Stato membro a un altro» evitando i problemi dovuti a calendari vaccinali diversi e le difficoltà dovute alle lingue diverse in cui sono redatti i documenti vaccinali nazionali. Secondo la Commissione europea «una tessera comune a livello di Ue, con una serie essenziale concordata di informazioni per ciascuna vaccinazione, potrebbe facilitare l’interpretazione dei libretti vaccinali, agevolare lo spostamento dei cittadini e ridurre le barriere alla vaccinazione».

L’articolo condiviso da Blondet dichiara che «le persone comuni dovranno condividere la propria cartella clinica per dimostrarsi idonee a viaggiare all’estero o anche per andare al cinema». A parte il fatto che una cartella clinica non è un libretto vaccinale, è vero che il documento europeo parla ripetutamente – ma genericamente – dell’utilità di uniformare i documenti vaccinali anche per affrontare «gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero» quali le malattie infettive (non si fa cenno invece ad attività ricreative come i cinema).

Il concetto di passaporto vaccinale per spostarsi da un luogo all’altro, o in generale di certificati sanitari come il green pass in discussione da marzo 2021 nell’Unione europea (secondo cui si può viaggiare non solo se vaccinati, ma anche se immuni da Covid-19 in seguito alla malattia o mostrando un tampone negativo), non è però un’invenzione della Commissione europea. Certificati sanitari per la sorveglianza delle malattie contagiose, necessari per lo spostamento, esistono almeno dal XVI secolo, in cui le “fedi di sanità” o “bollette di sanità” erano documenti necessari per certificare l’immunità da malattie contagiose o la presenza o meno della peste, per esempio in un porto toccato da una nave.

Una bolletta di sanità del 1611 (Fonte:Wikimedia Commons)

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha rilasciato fin dal 1944 un Certificato internazionale di vaccinazione o profilassi, ancora in uso anche se esclusivamente per la febbre gialla, che può essere richiesto come condizione necessaria per l’ingresso in una nazione membra dell’Oms.

Nell’articolo condiviso da Blondet ci sono inoltre altre affermazioni false. Parlando dei vaccini a mRna nell’articolo si legge di «cento mortali effetti avversi riconosciuti ufficialmente». Come abbiamo visto, dei cento decessi registrati in Italia dalla sorveglianza vaccinale solo uno è stato correlato con certezza al vaccino, a causa della febbre insorta in una persona già gravemente compromessa. In secondo luogo l’articolo sostiene che «il ministero dell’Interno tedesco ha assunto scienziati per sviluppare un falso modello di coronavirus al fine di giustificare un rigoroso blocco»: una notizia falsa come abbiamo discusso qui. L’articolo inoltre dice che nella proposta sono menzionati termini, come «contrastare la riluttanza vaccinale» o «focolai imprevisti», che sarebbero stati «ignoti» prima della pandemia. In realtà qui Blondet traduce liberamente l’originale di Great Game India che dice invece che questi termini «non erano così comuni». In ogni caso di «riluttanza vaccinale» o, in inglese, vaccine hesitancy, si parla apertamente da anni: l’espressione si trova ad esempio nel titolo di un seminario del 2008 o in questo documento dell’European center for disease prevention and control (Ecdc) del 2015.

In conclusione, è vero che la Commissione europea ha discusso la possibilità di uniformare le tessere o libretti che documentano le vaccinazioni fatte dai cittadini europei, anche per facilitare il controllo delle malattie infettive tra Paesi diversi. Questo però aveva il solo scopo di uniformare e semplificare la gestione delle vaccinazioni tra cittadini di Paesi Ue diversi. Inoltre l’idea di un «passaporto vaccinale» non è stata sviluppata più o meno di nascosto dall’Unione europea, ma è antica di secoli ed è tuttora ufficialmente adottata per la febbre gialla con un documento dell’Oms.

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