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La notizia della Barilla e delle etichette che indicano la provenienza del grano è del 2016

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25 settembre 2020
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Il 21 settembre 2020 su Facebook è stato pubblicato un’immagine a sfondo blu che riporta un testo di colore bianco. Si legge: «La Barilla non vuole che sulle sue etichette venga indicato il paese di provenienza del grano? No problem, non si compra Barilla!».

Si tratta di una notizia vecchia, ripubblicata senza un chiaro riferimento temporale che permetta al lettore di capire quando il fatto si è realmente verificato. Andiamo con ordine.

Post pubblicato su Facebook il 21 settembre 2020 – Notizia vecchia

A novembre 2016 durante il governo Renzi gli allora ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda hanno lavorato ad un decreto che prevedeva l’introduzione in Italia della sperimentazione, della durata di due anni, dell’indicazione obbligatoria sulle confezioni di pasta secca dell’origine del grano.

In base a questo decreto «le confezioni di pasta secca prodotte in Italia» avrebbero obbligatoriamente dovuto indicare il «Paese di coltivazione del grano» duro e quello di molitura, cioè dove il grano veniva macinato. Il grano duro è infatti un frumento utilizzato soprattutto per la produzione di pasta secca, al contrario di quello tenero che viene usato per dolci, pizza e pasta fresca. Il provvedimento stabiliva che se queste fasi fossero avvenute «nel territorio di più Paesi» potevano essere utilizzate, a seconda della provenienza, «le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE». Se poi il grano duro fosse stato coltivato almeno per il 50 per cento in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si poteva usare la dicitura: «Italia e altri Paesi UE e/o non UE».

All’epoca, questa proposta di legge aveva ricevuto delle critiche da parte di Barilla, azienda italiana attiva nel settore alimentare. L’allora responsabile delle relazioni esterne del gruppo, Luca Virginio (deceduto a settembre 2019), aveva dichiarato che l’azienda nutriva «forti dubbi e perplessità sul decreto per l’origine della materia prima in etichetta della pasta» perché per come era scritto avrebbe confuso i consumatori e indebolito la competitività della filiera della pasta. «L’origine da sola non è infatti sinonimo di qualità», continuava Virginio. Anche l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) aveva espresso riserve sulla formulazione del decreto: «L’origine del grano non è sinonimo di qualità della pasta. L’etichetta scelta dà informazioni poco chiare e, invece di aiutare il consumatore a fare scelte consapevoli, lo disorienta e confonde. Si vuole far credere che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando grano nazionale. Non è vero».

A febbraio 2018, durante il governo Gentiloni, il decreto è entrato poi in vigore prevedendo «l’obbligo di indicazione dell’origine della materia prima in etichetta» per la pasta. Come documentato in un articolo de Il Fatto alimentare del 12 febbraio 2018, Barilla si è adeguata alle nuove disposizioni di legge e nel retro del pacco di pasta ha riportato il Paese di coltivazione del grano e quello di molinatura.

A marzo 2020, terminati i due anni di sperimentazione, il governo Conte II e, nel dettaglio, la ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova e il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, hanno prorogato fino al 31 dicembre 2021 l’obbligo di indicazione dell’origine del grano per la pasta. L’intenzione, hanno dichiarato i due ministri, è di non fare passi indietro su questa materia: «Per questo abbiamo deciso di andare avanti».
Precisiamo infine che a maggio 2020 Barilla ha deciso di utilizzare grano 100 per cento italiano selezionato e coltivato in 13 regioni italiane per i formati classici della pasta destinata al mercato italiano. Una decisione comunicata anche nelle nuove confezioni di pasta, come si può vedere qui.

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