Lunedì 19 ottobre abbiamo ricevuto via Whatsapp la richiesta di verificare un testo, riportato anche da alcuni account Facebook, in cui si sosteneva che «il tampone Covid causa febbre e malori». Nel testo – il cui anonimo autore afferma di non aver «studiato medicina» – si avanza l’ipotesi che i tamponi diagnostici orofaringei, lesionando la mucosa orofaringea e permettendo l’ingresso di batteri, possano causare la sindrome da shock tossico, una grave condizione causata dalla risposta immunitaria a tossine batteriche. Per corroborare l’affermazione, il testo pone una analogia tra la sintomatologia della sindrome da shock tossico mestruale, una rarissima complicazione dell’uso di assorbenti interni, e i sintomi osservati in alcuni bambini con una sindrome infiammatoria da Covid-19.
Il contenuto oggetto della nostra analisi veicola una notizia falsa, non avendo alcun fondamento scientifico. Vediamo perché.
Iniziamo con il capire che cosa è la sindrome da shock tossico mestruale (Sstm). Si tratta di una rarissima (3-5 casi ogni milione di persone all’anno negli Stati Uniti) ma seria condizione acuta causata principalmente dal batterio Staphylococcus aureus. Più precisamente, dalla proliferazione di un ceppo di di questo batterio capace di produrre una tossina nota come TSST-1 che induce una risposta immunitaria particolarmente violenta. La mortalità, tra i colpiti dall’infezione, può arrivare all’8 per cento e i sintomi sono principalmente febbre, calo di pressione sanguigna e caratteristici eritemi cutanei con tendenza alla desquamazione. In aggiunta possono presentarsi vomito, diarrea e dolori muscolari.
La Sstm è direttamente correlata all’uso di assorbenti interni durante le mestruazioni. Segnalazioni di un’impennata nel numero dei casi di sindrome da shock tossico nelle donne mestruate vennero notate per la prima volta nel 1979 e inizialmente furono messe in correlazione con l’uso di assorbenti interni in carbossimetilcellulosa. In realtà la Sstm può avvenire con tutti i tipi di dispositivi interni per le mestruazioni, incluse le coppette mestruali. Uno studio pubblicato a marzo 2020 sulla rivista medica Lancet ha messo in relazione l’incidenza della Sstm alla residenza prolungata di uno stesso assorbente interno nel corpo (oltre le 6 ore e/o durante la notte).
Ma che relazione c’è tra episodi di questo tipo e il tampone per diagnosticare il nuovo coronavirus Sars-Cov-2? Nessuna.
I tamponi nasofaringei usati per diagnosticare l’infezione da nuovo coronavirus non hanno infatti significativi effetti collaterali, se si esclude un «lieve e limitato» sanguinamento nasale nel 5-10 per cento dei casi. Si noti che tali tamponi non sono una novità entrata in uso durante la pandemia da Covid-19, anche se certo ora sono enormemente più diffusi e ne sentiamo parlare quotidianamente. Sono in realtà in uso per la diagnosi di infezioni respiratorie da molto tempo (qui un articolo scientifico del 2011 che confronta alcuni tipi di tampone). Se ci fosse una significativa incidenza di effetti collaterali gravi, lo sapremmo.
Abbiamo poco sopra visto come la Sstm sia correlata alla permanenza degli assorbenti nel corpo per molto tempo, condizioni che probabilmente permettono la proliferazione del batterio Staphylococcus aureus e la produzione della tossina TSST-1; un tampone nasofaringeo dura invece pochi secondi. D’altra parte, il «rischio di tossicità» nel foglietto illustrativo del tampone, a cui accenna il testo della catena, non è «una velata indicazione sul rischio di questa pericolosa malattia», ma è in realtà un avvertimento relativo ai reagenti chimici usati per effettuare l’analisi dei campioni raccolti col tampone, non al tampone stesso, come avevamo già spiegato a settembre.
È infine vero che, come ha pubblicato la rivista scientifica Lancet il 7 maggio 2020 e riportato ulteriormente poi in rapporti clinici seguenti (qui e qui, per esempio), e come descritto in un ampio report dell’Istituto Superiore di Sanità, una sindrome con sintomi sovrapponibili a quelli della sindrome da shock tossico è stata diagnosticata in alcuni bambini in concomitanza con la pandemia da Covid-19. Si tratta però di una sindrome infiammatoria dovuta direttamente all’infezione da Covid-19, senza alcuna relazione con l’uso dei tamponi né con infezioni batteriche. Che la sintomatologia sia in parte simile non deve stupire, trattandosi sia la Sstm sia la sindrome infiammatoria da Covid-19 una conseguenza di una risposta eccessiva del sistema immunitario.