Intorno a dicembre 2021, Amazon è stata investita da un curioso fenomeno. Uno dei principali produttori di candele profumate era stato misteriosamente sommerso da recensioni negative, in cui i consumatori lamentavano che le candele non erano affatto fragranti come previsto: avevano un profumo blando o assente, o al massimo emanavano sentore di cera bruciata. «Ho comprato queste candele in passato, e la fragranza riempiva la stanza. Questa invece ha a malapena un odore». Quando Nick Beauchamp, professore associato di scienze politiche alla Northeastern University, ha provato a mettere su un grafico l’andamento delle recensioni negative alle candele lungo le settimane, ha trovato che seguivano all’incirca l’andamento di qualcosa d’altro: l’ondata di pandemia di Covid-19.
Le recensioni delle candele di per sé non sono, ovviamente, un’evidenza scientifica solida. Ma rappresentano un indizio di qualcosa di molto reale. Uno dei sintomi più caratteristici della Covid-19, riconosciuto fin dal marzo 2020, è proprio la perdita di olfatto (anosmia) e, di conseguenza, del gusto (ageusia). Un altro disordine dell’olfatto comunemente correlato alla Covid-19 è la sensazione alterata degli odori (parosmia). Vediamo che cosa significano i disturbi di gusto e olfatto causati dalla Covid-19, e perché è un problema di salute pubblica da non sottovalutare.
Quante persone sono state colpite
Ci sono statistiche molto diverse, tra il 20 e l’85 per cento, sulla frequenza dei disturbi di gusto e olfatto nelle persone colpite da Covid-19: le meta-analisi vanno in direzione di un’incidenza intorno al 40-50 per cento. Secondo uno studio dell’ottobre 2020, la perdita dell’olfatto precede tutti gli altri sintomi nel 20 per cento dei casi, mentre è concomitante con l’emergere dei sintomi nel 28 per cento. Curiosamente, la perdita dell’olfatto è a suo modo un buon segno: accade più di frequente tra i pazienti con sintomi leggeri e meno di frequente in pazienti che in seguito sviluppano sintomi seri.
Spesso la scomparsa dell’olfatto è molto rapida: come ha dichiarato un paziente citato in uno studio sull’impatto dell’anosmia da Covid-19, «è stato come un interruttore: da 100 a zero in un paio d’ore. Niente odori distorti, nulla. È come se il mio naso si fosse spento». Le varie fasi del recupero spesso però sono lente e coinvolgono fasi di odori attutiti e distorti, con un andamento fluttuante. Le varianti di Sars-CoV-2 sembrano avere effetti diversi, anche se i dati in merito spesso sono scarsi: per esempio, le persone colpite dalla variante omicron riportano meno spesso perdita di odori e sapori; un effetto simile, in confronto al ceppo originale del virus, era stato osservato per la variante delta, mentre questi disturbi erano comuni con la variante alfa.
In oltre metà dei casi la perdita di gusto e olfatto si risolve entro un mese, ma per alcuni pazienti può durare a lungo (il che non significa che l’infezione sia ancora in corso). Le numerose statistiche, nonostante le differenze, concordano su percentuali di danni a lungo termine minoritarie, ma non insignificanti. Secondo una meta-analisi pubblicata il 31 maggio 2021, fino al 22 per cento dei pazienti presenta deficit di gusto e olfatto oltre 60 giorni dopo la diagnosi di Covid-19; a seconda degli studi la percentuale di persone che dopo sei mesi non hanno recuperato completamente l’olfatto va dal 5 a quasi il 60 per cento. Secondo uno studio condotto su 798 pazienti statunitensi e pubblicato il 16 settembre 2021, il recupero dipende dall’età: sotto i 40 anni, il 17 per cento riporta disturbi dell’olfatto anche dopo sei mesi dall’inizio dei sintomi, ma la percentuale sale al 26 per cento sopra i 40 anni.
Anche accogliendo le stime più ottimistiche, dato il numero di casi di Covid-19 (quasi 300 milioni confermati nel mondo, al 31 dicembre 2021) una piccola percentuale di danni permanenti all’olfatto e al gusto implica un numero molto alto di persone menomate. Le persone con disturbi prolungati dell’olfatto dovuti alla Covid-19 nel mondo potrebbero quindi essere milioni, e decine di migliaia in Italia.
Le cause
A volte capita di non sentire più gli odori quando siamo colpiti da un normale raffreddore: questo accade perché le nostre vie respiratorie sono bloccate dal muco – abbiamo il naso tappato, in altre parole – e gli odori non arrivano al bulbo olfattivo. Questa è la regione all’interno delle nostre vie respiratorie che ci fa sentire gli odori, e si trova all’interno della cavità nasale, circa all’altezza degli occhi.
Con la Covid-19 è diverso. I pazienti con sintomi persistenti mostrano danni visibili proprio al bulbo olfattivo, mentre il naso spesso non è ostruito, né l’epitelio nasale è infiammato. Eppure il virus Sars-CoV-2 sembra non colpire direttamente i neuroni olfattivi, le cellule direttamente responsabili della nostra percezione degli odori. Questa è una buona notizia: a inizio pandemia infatti alcuni ricercatori avevano ipotizzato che il virus Sars-CoV-2 potesse arrivare al cervello sfruttando i neuroni olfattivi come porta d’ingresso. Il virus riesce però a colpire vari tipi di cellule “di supporto” del tessuto olfattivo – in particolare le cosiddette cellule sustentacolari. Queste supportano il funzionamento dei neuroni olfattivi: Sars-CoV-2, infettandole e distruggendole, causa i disturbi dell’olfatto, che si ripercuotono poi sul gusto. Non è chiaro però perché i sintomi abbiano durata diversa in diversi pazienti, né quali siano i possibili fattori di rischio.
L’impatto sulla vita quotidiana
L’olfatto è un senso a cui spesso diamo relativamente poca importanza: pensiamo a come saremmo più allarmati se la stessa percentuale si riferisse alla perdita della vista o dell’udito. Eppure anche la perdita o i disturbi dell’olfatto hanno ripercussioni importanti sulla qualità della vita. Una testimonianza personale di quanto sia debilitante la distorsione degli odori e dei sapori, per esempio, si può leggere in questo thread Twitter.
Uno studio pubblicato il 21 settembre 2021 ha analizzato i resoconti di un gruppo di supporto online per pazienti che hanno subito cambiamenti di gusto e olfatto dopo la Covid-19. Molti pazienti descrivono cambiamenti di appetito: per alcuni, a causa del cambiamento nell’olfatto, il cibo diventa in gran parte disgustoso e tendono a mangiare di meno, perdendo peso, mentre per altri serve più cibo per ottenere una sensazione piacevole e tendono quindi a mangiare di più. Diventa anche molto difficile partecipare ad attività comuni come pasti in famiglia, con ripercussioni psicologiche e sociali. La difficoltà o l’alterazione nel sentire gli odori crea problemi anche nelle relazioni sentimentali e sessuali, se l’odore dei partner che diventa assente o, peggio, insopportabile. In generale, i disturbi dell’olfatto potrebbero anche rendere difficile o impossibile avvertire l’odore del gas o del fumo, o capire se del cibo è andato a male. Secondo uno studio del 2014, il rischio di incidenti domestici aumenta in proporzione a quanto è compromesso l’olfatto.
Nonostante questi problemi, i pazienti con danni all’olfatto spesso denunciano di non essere creduti o presi sul serio, o il loro disturbo viene minimizzato da chi sta loro intorno e perfino dai medici.
Le opzioni per il recupero sono purtroppo poche, secondo Anna D’Errico, neuroscienziata e divulgatrice, il cui ultimo libro, Profumo di niente (Codice, 2021), si occupa proprio dei problemi dell’olfatto: «Il principale supporto è quello psicologico. Non ci sono delle cure vere e garantite, e spesso il disagio psicologico è molto importante, tanto da sfociare nella depressione. Purtroppo in Italia al momento non ci sono associazioni che si occupano nello specifico di disturbi dell’olfatto e supporto ai pazienti».
Ci sono indizi che sia possibile supportare il recupero dell’olfatto con una semplice riabilitazione, il training olfattivo, che potrebbe indurre il sistema nervoso ad accelerare il recupero della funzione olfattiva. Si tratta di una breve ma ripetuta esposizione (almeno dieci secondi alla volta per due volte al giorno, per 6-12 settimane) a diversi odori, anche quelli comuni nelle nostre cucine come caffè o bucce d’arancia. Altre possibili opzioni terapeutiche coinvolgono la vitamina A o farmaci quali i corticosteroidi o l’acido alfa-lipoico: questi ultimi due hanno possibili effetti collaterali, anche importanti, e quindi il loro uso va valutato con il medico. Una lista di associazioni internazionali che si occupa di disturbi dell’olfatto è disponibile in fondo a questo link.
In conclusione
Prima della Covid-19, i disturbi nella percezione degli odori colpivano una piccola percentuale della popolazione: negli Stati Uniti il 3,2 per cento degli over-40. La percentuale sale però con l’età contando, nello stesso Paese, un quarto degli adulti sopra i 50 anni con disturbi dell’olfatto, valore che supera il 60 per cento oltre gli 80 anni. Si tratta di disturbi finora in gran parte relativamente trascurati. «Serve lavorare sulla ricerca di base, perché ci sono molti aspetti del funzionamento dell’olfatto che ancora non conosciamo bene e di conseguenza diventa ancora più difficile venire a capo di disfunzioni come quelle provocate da Covid-19», secondo la neuroscienziata e divulgatrice Anna D’Errico.
Con la Covid-19, i disturbi dell’olfatto sono diventati all’improvviso una scomoda realtà per molte più persone. In gran parte dei casi questi disturbi scompaiono dopo poche settimane, ma alcuni individui mantengono problemi a lungo termine anche oltre sei mesi dalla malattia, compromettendo a volte gravemente la qualità della vita. I disturbi dell’olfatto e del gusto causati dalla Covid-19 sono parte di un’ampia costellazione di sintomi a lungo termine ancora poco compresi e che rappresentano un “peso nascosto” della pandemia, al di là del conteggio dei ricoveri e dei decessi.