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Questo articolo ha più di 22 mesi

Il terremoto in Turchia e Siria mostra come funziona la disinformazione in tempo di crisi

Le vittime accertate sono oltre 17 mila, mentre sule macerie della tragedia proliferano le notizie false

9 febbraio 2023
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Alle ore 4.17 locali di lunedì 6 febbraio 2023, un violento terremoto ha colpito l’area compresa tra il sud della Turchia e il nord della Siria, causando enormi devastazioni e un numero di vittime che mentre scriviamo ha superato le 17 mila persone, secondo le stime ufficiali.

L’evento sismico, che è stato da più parti descritto come il più grave dell’ultimo decennio, si è verificato in una zona già provata da anni di violenze e di una vera e propria guerra civile in Siria, insieme agli intensi flussi migratori ad essa collegati che hanno portato milioni di profughi in Turchia. Le cose non sono aiutate dal fatto che nei due Paesi – Turchia e Siria – anche se in modo diverso,  c’è una limitata libertà di stampa. Questa combinazione di fattori, sommata alle difficoltà comunicative durante i momenti di crisi, ha prodotto l’ambiente perfetto per la disinformazione, che infatti non ha tardato a manifestarsi.

La disinformazione in tempo di crisi

Come avevamo già raccontato in un approfondimento dedicato al conflitto in Ucraina, i contesti emergenziali – come una guerra o un disastro naturale – sono i più esposti alla proliferazione di notizie false, che spesso influiscono in modo diretto sugli avvenimenti, deteriorando la qualità delle informazioni disponibili o rallentando i soccorsi.

Ciò accade innanzitutto a causa dei danni alle infrastrutture (fisiche e digitali) provocati da attacchi militari o eventi naturali, che rendono il flusso informativo inevitabilmente sporadico e parziale. Accade così che nelle prime ore di una crisi sia più difficile trovare materiale audiovisivo di prima mano, un vuoto che viene rapidamente riempito con immagini e filmati provenienti da altri contesti, condivisi dagli utenti sulle piattaforme di social media e, in alcuni casi, mandati in onda dalle stesse testate giornalistiche.

La strategia di disinformazione più ricorrente consiste nel condividere contenuti riguardanti emergenze simili a quella in corso, ma avvenute in passato. Nelle ore successive al terremoto in Turchia abbiamo ad esempio assistito al moltiplicarsi di filmati che mostravano il crollo di un palazzo in Arabia Saudita, oppure lo tsunami abbattutosi nel 2015 sul Giappone, o ancora la forte tempesta che nel 2017 arrivò a lambire le coste del Sudafrica e l’esplosione verificatasi nel 2020 al porto di Beirut, in Libano. Tutti descritti come immagini giunte in tempo reale dallo scenario turco-siriano.

Questa dinamica ha l’effetto aggiuntivo di accrescere lo scetticismo generale nei confronti dell’informazione, anche quando questa si rivela corretta, come nel caso del palazzo crollato il 6 febbraio a Şanlıurfa, in Turchia, e che alcuni utenti su Twitter si sono affrettati a bollare come fake news.

Insieme alle immagini di repertorio, la disinformazione sul sisma ha sfruttato anche le immagini di stock, ovvero quei contenuti realizzati a tavolino e in maniera professionale per essere utilizzati da siti web e testate giornalistiche in cerca di immagini generiche. In Italia, ad esempio, è circolata la foto di un cane da salvataggio accanto a un cumulo di macerie, mentre i colleghi turchi di Teyit hanno segnalato la diffusione dell’immagine di un «bambino che piange tra le rovine». Entrambi i contenuti riguardavano situazioni sceneggiate e facilmente rintracciabili sul web.

La disinformazione interna

I filoni di disinformazione appena elencati si sono diffusi trasversalmente in giro per l’Europa e in Turchia, ma nell’area interessata dal terremoto sono circolati alcuni esempi molto particolari di notizie false o imprecise sull’emergenza.

I colleghi di Teyit si sono ad esempio occupati di analizzare l’invito circolato sui social media turchi a non dormire nelle auto per evitare avvelenamenti da monossido di carbonio. I fact-checker turchi hanno notato che in alcune circostanze gli avvelenamenti possono accadere, ma che il pericolo è comunque meno concreto di quanto apparisse dai post. Un altro filone tutto interno alla Turchia è quello che riguarda i danni del terremoto sull’ecosistema. La stessa Teyit ha riportato alcuni esempi di disinformazione che trasmette l’idea che la Turchia sia sprofondata di tre metri a causa del terremoto.

In queste ore l’opinione pubblica turca sta discutendo anche degli aiuti umanitari, in arrivo da molti Paesi del mondo (a differenza della Siria, il cui regime è isolato a livello internazionale e dove far arrivare in sicurezza gli aiuti è molto più difficile). La disinformazione diffusa in Turchia non ha trascurato neanche questo aspetto. Tra le autorità più accusate sui social media compare anche il consolato generale di Milano, che secondo alcuni utenti dei social media avrebbe destinato le donazioni alla Fondazione Diyanet, ente religioso di Stato molto vicino al presidente Tayyip Erdoğan, anziché affidare gli aiuti a organizzazioni terze.

Come ha spiegato su Twitter la co-fondatrice di Teyit Gülin Çavuş, tuttavia, il vero pericolo in tema di disinformazione non arriva dal web, bensì dalle stesse autorità turche. «Sin dal primo momento i funzionari governativi hanno attirato l’attenzione sulla disinformazione che circola sui social media» ha scritto la giornalista, «Tutto molto bello! Ma che dire delle autorità che dicono “siamo arrivati ovunque” mentre la maggior parte delle zone terremotate non è stata raggiunta e si attendono soccorsi?».

Le preoccupazioni di Çavuş sono suffragate da un articolo di Balkan Insight, che l’8 febbraio 2023 ha denunciato intimidazioni e incarcerazioni per mettere a tacere le voci critiche sulla gestione dell’emergenza messa in campo da Erdoğan. I governi di Turchia e Siria sono stati a più riprese accusati di reprimere la libertà di stampa nei rispettivi Paesi e il rischio più concreto è oggi quello dell’assenza del giornalismo indipendente negli scenari della tragedia.

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