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Avremo tutti bisogno di una terza dose?

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27 settembre 2021
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Il 20 settembre 2021 in Italia è partita ufficialmente la somministrazione delle terze dosi di vaccino contro la Covid-19. Un richiamo o, all’inglese, booster, che al momento – come da circolare del Ministero della salute del 14 settembre – verrà somministrato solo ad alcune categorie di persone: pazienti affetti da «marcata compromissione della risposta immunitaria». Rientrano in questa categoria, ad esempio, pazienti affetti da tumore o che hanno subito trapianti e quindi assumono farmaci che sopprimono la risposta immunitaria, o con malattie congenite che colpiscono il sistema immunitario. In seguito si prevede possano essere coinvolti ultraottantenni, anziani ospiti delle Rsa e operatori sanitari.

L’Italia quindi va ad aggiungersi a numerosi altri Paesi che hanno iniziato o stanno per iniziare a somministrare richiami dei vaccini contro la Covid-19: Israele e Regno Unito, ma anche Austria, Ungheria, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Cina e Singapore.

Ma che cosa ci dice la scienza? Si tratta di un passo necessario? È una questione complessa, in cui si incrociano incertezze scientifiche, questioni etiche e la responsabilità collettiva degli Stati nei confronti della pandemia. Ecco che cosa sappiamo.

Perché si parla di un richiamo

Nella necessità di una terza dose, di per sé, non c’è niente di nuovo: molti vaccini, come ad esempio quelli contro pertosse, tetano, varicella, morbillo e parotite, dopo due dosi iniziali, richiedono un richiamo. Può semmai stupire che si parli di un richiamo dopo così poco tempo, visto che i richiami per i vaccini elencati sopra vengono effettuati dopo cinque anni dalla somministrazione.

Il fatto è che con i coronavirus quali Sars-CoV-2 siamo in un territorio parzialmente inesplorato: i vaccini contro la Covid-19 sono i primi vaccini autorizzati contro un coronavirus. Sapevamo però, già da prima della campagna vaccinale, che l’immunità naturale contro altri coronavirus ha vita breve, intorno a 6-12 mesi (anche se sembra che l’immunità contro Sars-CoV-2 possa durare più a lungo). Era quindi plausibile che i vaccini contro la Covid-19 potessero richiedere un richiamo e se ne parlava già a gennaio 2021, all’inizio della campagna vaccinale.

Come hanno approfondito ad agosto 2021 i nostri colleghi di Pagella Politica, ci sono alcuni indizi che la protezione contro l’infezione possa calare dopo 6-8 mesi dalla vaccinazione. Che cosa questo significhi per lo sviluppo della malattia in forma grave o perfino per i decessi, i parametri più importanti dal punto di vista sanitario, non è chiaro. Uno studio dell’agenzia sanitaria inglese Public Health England, pubblicato il 21 settembre 2021, mostra un leggero ma misurabile calo dell’efficacia anche contro ricoveri e decessi, che resta però comunque molto alta: 78,7 per cento per AstraZeneca e al 90,4 per cento per Pfizer dopo oltre 20 settimane dalla vaccinazione. L’effetto è però più pronunciato nelle persone clinicamente vulnerabili alle conseguenze della Covid-19. Dati simili sono stati raccolti anche in Israele; viceversa, uno studio in Qatar non ha visto un calo nella protezione da ricoveri e decessi fino a sei mesi dopo la vaccinazione, ma Nature ha riportato che includendo i dati fino a sette mesi inizia a vedersi un mutamento.

Non è ancora chiaro se e quanto questo calo possa proseguire, o se si assesti dopo qualche tempo. Dal punto di vista immunitario infatti, come si legge sempre su Nature, la protezione non dipende solo dal livello di anticorpi – che tende a calare naturalmente qualche tempo dopo la vaccinazione – ma anche dalla cosiddetta “immunità cellulare”, che invece è più duratura. L’efficacia a lungo termine dei vaccini e dei richiami dipende quindi da quanto queste due linee di difesa dell’organismo sono importanti per combattere Sars-CoV-2 e da quanto il vaccino stimola l’una e l’altra.

Bisogna però stare attenti a trarre conclusioni troppo presto. Una lettera pubblicata il 13 settembre 2021 dalla rivista medica The Lancet e firmata, tra gli altri, da medici della Food and Drug Administration (Fda) statunitense e dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), fa notare che «ci sono numerose difficoltà nello stimare l’efficacia dei vaccini da studi osservazionali nel contesto di una rapida campagna vaccinale». I campioni di persone vaccinate più o meno di recente, infatti, possono essere molto diversi, ad esempio contenere più persone fragili o immunodepresse in cui è più facile vedere un calo dell’efficacia. Inoltre i comportamenti delle persone vaccinate da più tempo possono essere diversi (ad esempio, meno prudenti) di quelle appena vaccinate. La lettera però ammette che le osservazioni sulla malattia grave dovrebbero essere meno influenzate da questi effetti e potrebbero dare indicazioni utili.

Fuori dall’Europa inoltre, dove a volte sono stati usati vaccini diversi da quelli approvati nell’Unione europea e a volte meno efficaci, si sta lavorando ai richiami per irrobustire la protezione finora solo parziale della popolazione. Per esempio gli Emirati Arabi Uniti forniscono un richiamo con il vaccino Pfizer per coloro che sono stati vaccinati da più di sei mesi con il vaccino Sinovac.

I richiami funzionano?

La maggior parte dei Paesi che hanno deciso di fornire le terze dosi sono appena agli inizi della campagna ed è quindi difficile avere dati solidi sulla loro efficacia. In alcuni casi particolari sappiamo che una terza dose è estremamente utile. Sulle persone immunodepresse, come i trapiantati, una terza dose di vaccino può avere un grande effetto nel garantire una risposta immunitaria contro Sars-CoV-2, che spesso è minima anche dopo due dosi: lo avevano già mostrato dati su pazienti francesi pubblicati nel giugno 2021 e lo hanno confermato altri studi. Questi dati quindi giustificano la campagna per una terza dose di vaccino nei pazienti con compromissione del sistema immunitario, come autorizzato ora in Italia.

Per quanto riguarda una campagna più ampia, abbiamo a disposizione i dati di Israele, in cui una terza dose è stata autorizzata per tutti gli over 60 che hanno ricevuto la seconda dose da più di sei mesi. Uno studio pubblicato il 15 settembre 2021, effettuato su un campione di oltre un milione di persone, ha confermato che il tasso di infezione tra le persone che hanno ricevuto il richiamo si è abbassato di oltre 11 volte e quello di malattia grave di quasi 20 volte. I dati disponibili finora quindi, al di là della questione del calo dell’efficacia dei vaccini, sembrano confermare che il richiamo riduce drasticamente il rischio (già comunque basso) di malattia grave tra i vaccinati.

I rischi dei richiami

Al momento i dati sembrano mostrare benefici per le terze dosi di vaccino in persone anziane o che hanno una debole risposta immunitaria. L’idea però di iniziare una campagna di richiami su tutta la popolazione sembra incontrare maggiori scetticismi nella comunità medica e scientifica.

Innanzitutto vaccinarsi include sempre un, seppur piccolissimo, rischio, e sebbene finora i benefici superino di gran lunga i rischi, bisogna calcolare l’accumularsi di questi rischi dopo richiami ripetuti. Alcuni dei rari effetti avversi dei vaccini, come la miocardite tra i giovani vaccinati con i vaccini a mRna, sembrano essere più frequenti dopo la seconda dose: secondo la lettera dei medici Oms a Lancet che abbiamo citato sopra, un picco di effetti collaterali dovuto ai richiami potrebbe aumentare ulteriormente la sfiducia nei vaccini. Sfiducia che, sempre secondo la lettera, un’eccessiva enfasi sui richiami potrebbe indurre per quanto riguarda l’efficacia in assoluto dei vaccini.

Un altro possibile problema è un fenomeno noto tra gli immunologi come “peccato originale antigenico”. Come ha fatto notare una lettera di tre medici e ricercatori iraniani, pubblicata già il 3 maggio 2021 dalla rivista medica Infection Control & Hospital Epidemiology, e ripresa da una rassegna del 9 agosto della rivista Nature Reviews Immunology, un richiamo contro una singola variante del virus può aumentare sì l’immunità del nostro corpo verso quella variante, ma ridurla verso le possibili altre varianti. È come se il richiamo mettesse a fuoco la risposta immunitaria sempre più precisamente verso un singolo bersaglio ma mettendo a rischio la sua flessibilità, un fenomeno già noto per i vaccini antinfluenzali. Anche per questo si sta studiando la possibilità di usare, per i richiami, versioni dei vaccini che invece abbiano come bersaglio una o, meglio, numerose varianti di Sars-CoV-2. I primi risultati di uno studio clinico su di un richiamo con una versione aggiornata del vaccino Moderna, che ha come bersaglio le varianti delta, gamma e beta, sembrano promettenti nel conferire un’immunità più allargata, con scarsi effetti collaterali.

Una questione globale

La questione aperta più importante, però, parlando di richiami, è il loro impatto etico e medico sulla gestione mondiale della pandemia. Molti rappresentanti della comunità medica e scientifica hanno fatto notare (es. qui, qui, qui, qui e qui) che è eticamente inaccettabile usare le scorte di vaccino per terze dosi nei Paesi ricchi, per acquisire un vantaggio tutto sommato piccolo, quando ci sono ancora numerosi Paesi che hanno difficoltà ad accedere ai vaccini. Una diseguaglianza sanitaria che segue da vicino la diseguaglianza economica, come mostra il rapporto del 21 luglio 2021 pubblicato dalla Kaiser Family Foundation. Al 24 settembre 2021, secondo i dati raccolti dal portale Our World in Data, l’Africa ha vaccinato con una dose solo il 6,38 per cento della popolazione e completamente solo il 4,15 per cento. L’India ha vaccinato completamente solo il 15,5 per cento. Molti di questi Paesi, secondo il rapporto sopra citato, non avranno livelli di vaccinazione adeguati prima del 2023. Ne deriva che usare vaccini per una campagna di richiami massiccia, invece di farli avere ai Paesi in via di sviluppo, rischia di avere un costo inaccettabile in vite umane, specie con il dilagare della variante delta. 

Questa opinione è stata espressa anche dall’Organizzazione mondiale della sanità in un comunicato del 10 agosto 2021, in cui si conclude che «in un contesto di scarsità globale dei vaccini, la somministrazione dei richiami aumenterà le diseguaglianze aumentando la domanda e consumando le scarse riserve, mentre le popolazioni che dovrebbero avere la priorità in alcuni Paesi non hanno ancora ricevuto la prima serie di vaccinazioni», e argomentando che i richiami dovrebbero essere riservati ai sottogruppi di persone che ne hanno un chiaro bisogno.

Non è solo altruismo. Molti commentatori hanno avvertito che lasciar correre il virus indisturbato nei Paesi più poveri, privi di copertura vaccinale, rischia di favorire l’evoluzione di nuove varianti potenzialmente pericolose come e più della delta. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’economia mondiale potrebbe perdere 4,5 trilioni di dollari in seguito al diffondersi di varianti del virus Sars-CoV-2 in Paesi con una bassa percentuale di vaccinati.

In conclusione

Dal punto di vista scientifico ci sono dati che confermano la necessità di una terza dose di vaccino per alcune specifiche categorie: pazienti immunodepressi prima di tutto, ma anche altri a rischio di gravi conseguenze della Covid-19 e anziani, nei quali l’efficacia del vaccino potrebbe diminuire considerevolmente in tempi relativamente brevi.

Al momento non è chiaro se a breve ci sarà bisogno di un richiamo, invece, per il resto della popolazione, anche se è plausibile che possa servire prima o poi. È probabile che in tal caso sarebbe opportuno un richiamo con un vaccino che abbia come bersaglio la variante delta e altre varianti potenzialmente pericolose del virus Sars-CoV-2, in modo da garantire una protezione più ampia per il futuro.

In ogni caso, prima di pensare a richiami dei vaccini per tutta la popolazione dei Paesi occidentali, l’opinione dell’Oms e della comunità medico-scientifica è dare la priorità a terminare la campagna vaccinale nei Paesi in via di sviluppo, dove è in grave ritardo. Questo sia per usare i vaccini nel modo più umanitario possibile, risparmiando il massimo numero di vite umane, sia per evitare l’evoluzione di nuove varianti che potrebbero mettere in crisi l’efficacia dei vaccini anche in Occidente.

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