In principio c’era solo la disinformazione, poi è arrivato il fact-checking. Ora chi fa disinformazione ha dichiarato guerra a chi la controlla.
A poco più di un anno dalle elezioni presidenziali statunitensi del 2024, previste per il 5 novembre, la corsa alla Casa Bianca occupa già le prime pagine dei principalisiti di notizieinternazionali. Se le elezioni statunitensi del 2016, attraverso lo scandalo di Cambridge Analytica e le interferenze russe, hanno mostrato le vulnerabilità a cui siamo esposti sui social media, oggi in Rete viviamo uno scenario diverso, dove decine di siti di verifica delle notizie nel mondo lavorano per creare piazze sociali più informate e meno pericolose.
Tutto questo, secondo un articolo del New York Times, sembra non piacere molto ai repubblicani, che avrebbero progettato un piano per scoraggiare la ricerca sulla disinformazione a tema elezioni 2024. Infatti, come riportato dal quotidiano americano, i repubblicani avrebbero condannato l’operato di diversi centri di ricerca sulla disinformazione negli Stati Uniti, accusandoli di censurare i contenuti dei politici conservatori.
Decine di lettere contro il fact-checking
«La commissione giustizia continua a condurre le sue indagini su come e in che misura il potere esecutivo abbia esercitato pressioni e collusioni con aziende e altri intermediari per censurare la libertà di parola». Cominciano quasi tutte così le decine di lettere che Jim Jordan, repubblicano e presidente della commissione giustizia della Camera, a partire da febbraio 2023 ha inviato a diversi centri di ricerca politica come Stanford, The Atlantic Council e The German Marshall Fund.
A detta del repubblicano Jordan, queste organizzazioni avrebbero aiutato l’amministrazione Biden a censurare i contenuti dei politici repubblicani sui social media. L’azione verso gli istituti di ricerca è stata intrapresa dal comitato repubblicano, commissione dell’omonimo partito istituita a gennaio 2023 per controllare e indagare sull’operato del governo statunitense in carica.
Jaeel Jaffer, direttore del Knight First Amendment Institute della Columbia University, centro di ricerca americano sulla disinformazione nell’era digitale, al NYTha commentato l’iniziativa del comitato repubblicano definendola «un tentativo cinico di scoraggiare la ricerca».
Il contenuto delle lettera Imran Ahmed, direttore del Center for Countering Digital Hate, centro di ricerca impegnato nella lotta alla disinformazione online, è uno dei destinatari delle lettere recapitate da Jim Jordan. Il 3 agosto 2023 Ahmed ha ricevuto una richiesta di informazioni sui rapporti tra il suo centro e il governo degli Stati Uniti. La lettera chiedeva espressamente di fornire centinaia di documenti al fine di chiarire relazioni e temi di conversazione tra il centro di ricerca e il governo americano, in rapporto alle operazioni di controllo e monitoraggio del dibattito politico online.
Oltre alle lettere di richiesta di informazioni, a luglio 2023 due giudici in Missouri e Louisiana – Stati con una forte influenza repubblicana interna – hanno provato a limitare i contatti tra il governo americano e le piattaforme di social media, come si può leggere nella sentenza del processo che vedeva opposti lo Stato del Missouri al presidente Joe Biden. A detta dei giudici, il governo Biden avrebbe mostrato forti pressioni verso le piattaforme di social media, chiedendo la rimozione di numerosi post di destra in relazione alla Covid-19 e più in generale ai contenuti a tema sanitario.
Nel provvedimento, infatti, viene notificato alle agenzie governative – come il dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) e l’Ufficio Federale di Investigazione (FBI) – di non poter intraprendere comunicazioni dirette con le piattaforme di social media, quindi di non poter «sollecitare, incoraggiare, fare pressione o indurre in alcun modo la rimozione, la cancellazione, la soppressione o la riduzione di contenuti contenenti la libertà di parola protetta dalla Costituzione».
Queste agenzie, dunque, non potrebbero più ordinare la rimozione di contenuti social al di fuori di argomenti legati a crimini, minacce alla sicurezza nazionale o tentativi stranieri di influenzare le elezioni, escludendo quindi quasi tutti i contenuti di natura politica. In attesa di una risposta della Casa Bianca, viene spiegato in un articolo del New York Times, l’ordine del giudice vieterebbe alle agenzie governative di dialogare con partner esterni per il controllo dei contenuti.
Davvero i repubblicani fanno più disinformazione?
Se è vero che il partito repubblicano si sta impegnando da mesi per rendere più difficoltoso il lavoro fact-checking di varie organizzazioni, è lecito domandarsi se la paura dei repubblicani per la verifica delle informazioni non sia il risultato di una maggiore produzione di disinformazione di destra sui social media.
Proviamo a cercare una risposta nei dati. Nel 2019, il centro di ricerca e sondaggi Pew Research Center, dopo avere intervistato cittadini americani repubblicani e democratici, ha riscontrato come i cittadini repubblicani (in rapporto di sette intervistati su dieci) sostengano che i fact-checker tendono a favorire solo una parte politica, quella di sinistra. Sempre secondo la stessa indagine, i cittadini democratici (in rapporto di sette intervistati su dieci) sostengono il contrario, cioè che i fact-checker sono imparziali nelle loro analisi politiche. Questo significa che durante il mandato di Donald Trump, gran parte degli elettori repubblicani non riconosceva i fact-checker come una fonte di verifica oggettiva, contrariamente all’opinione dei democratici.
Uno studio della Ohio State University, condotto due anni dopo, nel 2021, ha evidenziato un altro dato: i conservatori sono meno capaci di distinguere una notizia falsa da una vera. La coautrice di questo studio, Kelly Garrett, professoressa di comunicazione presso la Ohio State University, spiegava all’interno dello studio che «la situazione è sfavorevole ai conservatori, perché c’è molta più disinformazione che sostiene le posizioni conservatrici».
Nei risultati della ricerca troviamo una frase chiave per comprendere lo scenario: «coerentemente con altri studi, scopriamo che i conservatori americani hanno maggiori probabilità dei liberali di avere percezioni errate». Nello studio viene poi citato l’esempio delle elezioni del 2016 vinte da Donald Trump. Secondo gli autori della ricerca, le notizie false condivise sui social media hanno avvantaggiato più spesso i candidati repubblicani rispetto a quelli democratici.
A sostenere che la disinformazione è più una questione di stampo conservatore è intervenuto anche uno studio dell’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, che ha concluso come le notizie «di bassa qualità, estremiste, sensazionaliste e cospiratorie» pubblicate sui social media negli Stati Uniti appartenessero in larga parte ad account di utenti di destra conservatori e repubblicani.
La ricerca che ha prodotto questo risultato ha lavorato su due strade, collegandole tra loro: da una parte ha monitorato un gruppo di 13.500 utenti Twitter – piattaforma ora conosciuta come X – politicamente attivi e di provenienza statunitense. Dall’altra, ha identificato centinaia di «siti spazzatura» utilizzati come fonte di informazione dagli account monitorati. I ricercatori hanno scoperto che la condivisione dei link da siti di informazione che pubblicano notizie false veniva effettuata per la maggior parte solo da account di conservatori e repubblicani. Due gruppi in particolare, chiamati “Trump Support” e “Hard Conservatives” erano risultati quelli che più in assoluto condividevano notizie false e fuorvianti su Facebook e Twitter.
Non si tratta però solo di contenuti. A cambiare è anche la percezione che conservatori e utenti di destra hanno maturato dopo anni di esposizione a contenuti fuovianti e disinformativi. Un sondaggio condotto ad agosto 2023 dal KFF, centro di ricerca indipendente per le politiche sanitarie statunitensi, ha mostrato come i repubblicani (47%), rispetto ai democratici (18%), sembrino più avvezzi a credere che la Covid-19 abbia provocato migliaia di morti in pazienti con quadri clinici sani.
In conclusione
Nel corso del 2023 i repubblicani hanno messo in campo una strategia per disincentivare la ricerca di varie organizzazioni sulla disinformazione. A testimonianza di questo ci sono le decine di lettere inviate a centri indipendenti americani che si occupano di fare ricerca sulla comunicazione politica digitale. Tutte le lettere, visionate dalla redazione di Facta.News, richiedevano ai destinatari una grande mole di documenti a riprova dei rapporti intercorsi con il governo degli Stati Uniti.
Se da un lato non possiamo ancora stimare l’effetto che l’indagine dei repubblicani avrà sull’effettivo lavoro che i centri svolgeranno per le elezioni del 2024, con la sentenza emessa a luglio 2023 dallo Stato del Missouri (e in attesa di risposta dal governo di Joe Biden) si è imposto un limite entro cui il fact-checking dovrebbe operare, individuando solo tre categorie – crimini, minacce alla sicurezza nazionale o tentativi stranieri di influenzare le elezioni – ed escludendo interamente tutti i contenuti di natura politica e sociale. Una strategia pericolosa, che mira a legittimare ed amplificare la disinformazione politica.
Come dimostrano almeno quattro studi riporati in questo articolo, la disinformazione di destra negli Stati Uniti sembra occupare uno spazio assai più marcato di quella di sinistra nel dibattito pubblico sui social media. In questo contesto, risulta chiaro che fattori come populismo e polarizzazione rendono la comunicazione politica repubblicana più frequentemente oggetto di controllo da parte dei fact-checker e dei centri di ricerca politica.
LEGGI ANCHE
Antisemitismo e complotti: la deriva di Kanye West arriva da lontano