La disinformazione sui rifugiati alimenta la discriminazione - Facta
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La disinformazione sui rifugiati alimenta la discriminazione

di Simone Fontana e Anna Toniolo

Il 20 giugno ricorre la Giornata mondiale del rifugiato, istituita dalle Nazioni unite (ONU) per commemorare l’approvazione della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, conosciuta anche come Convenzione di Ginevra. Per contribuire alla pace e alla sicurezza dei rifugiati è necessario innanzitutto sfatare alcune narrazioni infondate e fuorvianti che da anni circolano su queste persone.     

Nelle ultime settimane si sono verificati alcuni fatti che hanno alimentato la disinformazione e il discorso d’odio nei confronti non solo dei rifugiati, ma anche di altri migranti e richiedenti asilo. Un tema già permeato da tempo, purtroppo, da violenza e discriminazione. 

Il 9 giugno 2023 nella nave da carico Galata Seaways, partita dal porto turco di Topcular il 7 giugno e diretta in Francia, erano state scoperte alcune persone migranti provenienti da Siria, Afghanistan e Iraq, nascoste nel cassone di uno dei tir trasportati dall’imbarcazione. Il ritrovamento è avvenuto dopo che alcuni componenti dell’equipaggio, quando la nave si trovava nel Golfo di Napoli, avevano individuato attraverso le telecamere di sicurezza un gruppo di persone  che si era imbarcato segretamente. Secondo i racconti successivi alcune di queste persone avevano squarciato il telo di un camion in cui erano nascosti per prendere aria utilizzando due coltelli e un taglierino. 

Inizialmente la notizia era stata descritta come un “dirottamento” avvenuto per mano di alcuni migranti. Il primo a diffondere la notizia era stato il ministro della Difesa Guido Crosetto, annunciando un’operazione delle forze speciali italiane al largo di Napoli, intervenute per riprendere il controllo di una nave turca che sarebbe stata sequestrata, appunto, da un gruppo di migranti. Lo stesso Crosetto, l’11 giugno, aveva pubblicato in un tweet una nota informativa del ministero della Difesa che avrebbe dovuto dimostrare che si trattava effettivamente di un dirottamento come lui stesso aveva sostenuto. Nel documento, però, non compariva alcun riferimento a tentativi di dirottamento, aggressione o sequestro. In base alle prime indagini condotte dalla procura di Napoli è stato escluso che si sia trattato di un dirottamento o di un sequestro ai danni del comandante e dell’equipaggio. 

Anche il naufragio avvenuto al largo delle coste greche il 14 giugno 2023 e descritto come una delle peggiori tragedie mai avvenute nel Mediterraneo, che potrebbe aver causato la morte di almeno 600 persone (ad oggi il numero di vittime accertate è di 79 persone, mentre i sopravvissuti sono 104 su circa 750 passeggeri) è stato circondato da notizie discordanti che hanno contribuito a creare una narrazione distorta. 

Per evitare che dinamiche come quelle appena descritte continuino ad alimentare l’odio è necessario fare ordine partendo dalle definizioni e sfatando alcuni dei falsi miti che ancora circolano. 

Chi è un rifugiato
Secondo la definizione contenuta nella già citata Convenzione di Ginevra, ai sensi del diritto internazionale il rifugiato è colui «che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese». Tale termine designa anche chi non è in possesso di alcuna cittadinanza, vale a dire un apolide, e che «trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale» non può farvi ritorno a causa di una delle già elencate motivazioni.

Per quanto riguarda la legislazione italiana, il diritto di asilo è garantito dall’articolo 10 della Costituzione, che al comma 3 recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». A livello pratico, l’Italia riconosce lo status di rifugiato al termine di un lungo processo affidato a una delle commissioni territoriali preposte, che si occupano di esaminare le domande e di effettuare un colloquio personale con il richiedente. 

Dal momento in cui viene inoltrata la richiesta di asilo, fino all’accoglimento della domanda, la persona assume lo status di richiedente asilo, regolarmente soggiornante in Italia per un periodo di sei mesi e rinnovabile fino alle decisione della commissione territoriale. In caso di esito positivo, il richiedente asilo potrà essere riconosciuto a tutti gli effetti come un rifugiato. 

Secondo i dati diffusi dal Consiglio italiano per i rifugiati (CIR), le richieste di asilo arrivate nel 2022 in Italia sono state in tutto 77.195 (in Germania sono state 217.735, in Francia 137.505, in Spagna 116.140), mentre le domande esaminate durante l’anno sono state poco più di 52 mila. Il 12 per cento di queste (circa 6 mila persone) ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Ciò non significa però che la stragrande maggioranza delle domande fossero infondate, dal momento che l’Italia si è dotata nel tempo di diverse forme di protezione, come la protezione sussidiaria e quella speciale, che portano il totale delle domande accettate al 47 per cento del totale. 

La protezione sussidiaria è una forma di protezione prevista dall’Unione europea e recepita dal diritto italiano, che definisce il titolare di protezione sussidiaria come una persona «nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno». La protezione speciale è stata, invece, introdotta nel 2020 per far fronte all’abolizione della protezione umanitaria, eliminata dal decreto sicurezza del 2018, e prevede che non sia ammesso «il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati».

La disinformazione sui rifugiati ucraini
A partire dal mese di febbraio 2022, l’invasione russa dell’Ucraina ha reso necessaria una forma di protezione temporanea per i cittadini interessati dal conflitto. Si tratta di una forma di protezione che nell’Unione europea esiste dal 2001, ma è che è diventata operativa per la prima volta solo il 4 marzo 2022, in seguito alla decisione del Consiglio dell’Unione.  

Questa decisione riconosceva formalmente l’esistenza di un flusso massiccio di sfollati che hanno lasciato l’Ucraina a seguito dell’inizio del conflitto armato e, come prevedibile, ha generato un’ondata di disinformazione senza precedenti. Stando a quanto riportato sui social media e sui siti web di diversi Paesi europei, i rifugiati ucraini avrebbero assunto comportamenti violenti, espresso simpatie verso il nazismo e sarebbero stati trattati dalle istituzioni meglio rispetto a quanto non venga fatto nei confronti dei cittadini europei. Accuse false e nella maggior parte dei casi totalmente prive di fondamento, che hanno unito alcuni topos della disinformazione xenofoba con l’inconfondibile spin della propaganda russa. 

I filoni più frequentati da questo tipo di disinformazione si sono rivelati quelli che descrivevano i rifugiati ucraini come persone violente, razziste e disposte a vandalizzare i Paesi che gli hanno fornito ospitalità. Contenuti che spesso descrivono gli ucraini come un popolo intollerante e pesantemente compromesso con il nazismo, in ossequio alla narrazione del presidente russo Vladimir Putin, che alla vigilia dell’invasione aveva giustificato l’intervento armato con la necessità di “denazificare l’Ucraina”.

Questo genere di disinformazione si avvale molto spesso di immagini o video reali, ma totalmente estrapolati dal contesto, e nella maggior parte dei casi non ritraggono davvero persone ucraine. In nessuno dei casi citati, tra l’altro, le persone ingiustamente accusate sono dei rifugiati.

Nonostante l’impennata di contenuti disinformativi che nell’ultimo anno e mezzo hanno bersagliato i rifugiati ucraini, l’ultimo report dell’associazione Carta di Roma ha concluso che «l’analisi di questo ultimo anno di informazione sulle migrazioni, sui rifugiati, sui richiedenti asilo, rivela che c’è un binario parallelo su cui corrono la solidarietà per il popolo ucraino in fuga e l’ostilità, in crescita, verso i popoli in fuga in arrivo dal Mediterraneo». Nel quadro generale della disinformazione, insomma, la discriminazione più diffusa è ancora quella che riguarda i rifugiati di origini africane e asiatiche.

Falsi miti ancora duri a morire
Oltre a quanto descritto fin qui, circolano tutt’oggi una serie di luoghi comuni contro i rifugiati che si sono trasformati in veri e propri pregiudizi. Alcune persone, infatti, continuano a sostenere per esempio che i rifugiati dovrebbero arrivare in Italia in aereo o attraverso vie meno pericolose rispetto a quelle che la maggior parte delle persone che decide di lasciare il proprio Paese d’origine oggi utilizza, spesso perdendo la vita lungo le rotte migratorie per raggiungere l’Europa. 

Ci sono vari motivi per cui la maggior parte dei rifugiati non arriva in aereo per fuggire dai loro Paesi di origine. Prima di tutto perché ottenere i documenti necessari per viaggiare legalmente, come passaporti e visti, può essere un processo complesso e costoso se non addirittura impossibile

Per capirne il motivo può essere utile consultare il Passport Index, una classifica globale elaborata dalla società canadese Arton Capital, che mostra il numero di Paesi in cui un determinato passaporto permette di viaggiare senza visto, con un visto all’arrivo o con un visto preventivo. In questa classifica, per esempio, Siria, Iraq e Afghanistan, le nazionalità delle persone che erano a bordo della nave che è naufragata al largo della Grecia il 14 giugno, occupano gli ultimi tre posti. Il numero di Paesi a cui i cittadini di questi Stati possono accedere senza visto è molto limitato. Spesso, per le persone che provengono dai Paesi del sud ovest asiatico o del continente africano, i requisiti per ottenere un visto per entrare regolarmente in un Paese europeo sono quasi insostenibili. 

Per esempio, a una persona con cittadinanza afgana, che risiede in Afghanistan e richiede un visto turistico della durata di 90 giorni per entrare in Italia, viene chiesta un’assicurazione sanitaria con una copertura minima di 30 mila euro che possa coprire le spese per il ricovero ospedaliero e le spese di rimpatrio, valida in tutta l’area Schengen. Ma non solo, è necessario comprovare di possedere mezzi economici di sostentamento adeguati per sostenere le spese di soggiorno, oltre che dimostrare la propria condizione socio-professionale e confermare di avere la disponibilità di un alloggio in Italia. Questo significa che spesso le persone che possono richiedere un visto turistico per l’Italia sono quelle benestanti e mediamente meno interessate a lasciare il proprio Paese d’origine. 

Un’altra strategia utilizzata per screditare i rifugiati è quella di associare queste persone a notizie false che le dipingono come truffatori che raggirano lo Stato per ricevere molti più sussidi rispetto a quelli che spetterebbero loro. 

Su Facta.news, per esempio, ci siamo occupati di un caso di disinformazione ai danni di un uomo di nazionalità marocchina che percepirebbe sette redditi di cittadinanza. Secondo quanto riportato, l’uomo aveva sette mogli e quindi sarebbe stato in grado di percepire sia il sussidio personale che quello delle consorti, ciascuna delle quali sarebbe stata in grado di ricevere il reddito di cittadinanza presentando un domicilio diverso da quello del marito. 

Non è stato possibile trovare alcun riscontro che confermasse la notizia e, inoltre, diversi particolari la rendono implausibile e probabilmente falsa, come spesso succede in casi di disinformazione di questo tipo. Uno di questi elementi è, per esempio, il fatto che la poligamia in Italia è vietata dal codice penale. Ciò significa che solo una delle sette presunte mogli sarebbe riconosciuta come tale dalla legge italiana e avrebbe per questo potuto richiedere il ricongiungimento con il marito. Le altre, non essendo legalmente riconosciute, avrebbero dovuto affrontare il viaggio migratorio dal Marocco in autonomia e senza quell’appiglio legale, chiedendo quindi un visto turistico valido per 90 giorni o essendo in possesso di un permesso di lavoro. In alternativa, le donne sarebbero potute arrivare in maniera irregolare chiedendo poi il riconoscimento dello status di rifugiate attraverso il meccanismo della protezione internazionale, difficile però da ottenere per i cittadini marocchini. Inoltre, un altro dettaglio che rendeva questa notizia poco probabile è quello che riguarda i limiti posti dai meccanismi del reddito di cittadinanza, come avevamo spiegato in altre notizie simili a questa che avevano l’obiettivo di screditare altre persone migranti. 

E, infine, un classico di questo filone disinformativo: la leggenda secondo cui i rifugiati non dovrebbero possedere uno smartphone in quanto stanno scappando da Paesi in cui ci sono conflitti in corso, carestie o altre situazioni difficili. In questa narrazione, il possesso di uno smartphone sarebbe sinonimo di benestare, dunque la prova che non si tratta di persone povere o in difficoltà. Quindi non meriterebbero realmente lo status di rifugiati.  

Come riportato da Unhcr, l’Agenzia ONU per i rifugiati, per sgombrare la mente da  pregiudizi è sufficiente pensare alla propria esperienza quotidiana e riflettere sulle telefonate che ogni persona fa quotidianamente per avvisare i propri cari riguardo i propri spostamenti. «Migranti e rifugiati percorrono rotte pericolose e lunghissime: a volte lasciano dietro di sé parenti» ha precisato Unhcr, «altre volte attraversano mari e deserti per raggiungere qualcuno che li aspetta in Europa». 

Già nel 2016 un rapporto redatto da Open University, un’università del Regno Unito, in collaborazione con France Mèdias Monde, società che coordina le attività delle radio e delle televisioni pubbliche detenute dallo stato francese avente diffusione all’estero, aveva evidenziato l’importanza della tecnologia e dell’uso dei social nei viaggi delle persone migranti, sottolineando che la mancanza di informazioni li spinge ad affidarsi a soluzioni illegali e pericolose.  

Quelle riportate sono solo alcune delle notizie false che colpiscono i rifugiati. Riconoscerle, verificarle e decostruirle è un modo per disinnescare un discorso d’odio e di discriminazione ancora, purtroppo, molto diffuso.

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