Come funziona la disinformazione su TikTok
Spesso quando descriviamo le dinamiche della disinformazione online italiana siamo soliti concentrarci sulle piattaforme social ormai “mature” che si sono nel tempo trasformate in collaudati strumenti di propaganda, nonostante i tentativi di arginare il fenomeno. Negli ultimi anni, però, la geografia dei social network popolati da utenti italofoni si è arricchita di un nuovo e agguerrito concorrente, che ha rivoluzionato molti aspetti della comunicazione social, tra i quali anche la diffusione di notizie false: stiamo parlando di TikTok.
Si tratta della piattaforma cinese popolata da giovanissimi (ma non solo, come vedremo) che consente la pubblicazione di brevi video accompagnati da un sottofondo musicale. Dal 2016 a oggi, il social network della società cinese ByteDance ha raggiunto un pubblico di 689 milioni di utenti attivi, superando nel 2021 i 2 miliardi di download su App Store e Google Play.
Secondo l’ultimo report pubblicato dalla società di analisi dei social network Warc, tra il 2020 e il 2021 TikTok ha parzialmente invertito la tendenza che lo aveva portato a diventare il punto di riferimento della cosiddetta Generazione Z (i nati tra il 1995 e il 2010) e oggi circa un quarto degli utenti complessivi in tutto il mondo ha tra i 35 e i 44 anni, mentre il 14 per cento ne ha tra i 45 e i 54. Per TikTok è insomma iniziata una nuova era, che porta con sé anche nuove e impegnative responsabilità.
Anche per questo motivo a ottobre 2020 l’azienda ha lanciato il suo personale programma di verifica dei contenuti informativi che circolano sulla piattaforma, stipulando partnership con fact-checker esterni in modo non dissimile da quanto fatto da Facebook con il Third-Party Fact-Checking Program. Tra le testate scelte da TikTok c’è anche Facta, una collaborazione che ci ha permesso di approfondire le dinamiche che muovono la disinformazione su una delle piattaforme più in voga del momento. Che cosa abbiamo finora scoperto? Ne parliamo qui sotto.
Come funziona TikTok
Prima di iniziare, abbiamo deciso di dedicare una breve guida a TikTok per chi non si fosse mai cimentato con il suo utilizzo (tutti gli altri potranno di conseguenza passare direttamente al prossimo capitolo).
TikTok è un social network cinese lanciato nel 2016, che consente di creare brevi clip musicali della durata massima di 60 secondi. L’utente potrà dunque registrare un video e associare a questo un audio, che potrà essere originale (registrato in presa diretta) oppure uno a scelta tra la vasta selezione di brani musicali e voci da doppiare messi a disposizione da TikTok. Gli utilizzatori del social network potranno inoltre (attraverso l’app scaricabile dai principali app store) modificare la velocità di riproduzione, aggiungere filtri ed effetti particolari ai loro video.
Chi invece intende cercare qualcosa sulla piattaforma dovrà affidarsi al motore di ricerca interno di TikTok che consente di trovare utenti, video, audio e hashtag. Potremo dunque scegliere di cercare una persona che conosciamo o una personalità pubblica alla quale siamo interessati, ma anche tutti i video contrassegnati con un determinato hashtag o accompagnati da una certa canzone.
Tutti gli utenti di TikTok potranno selezionare il pubblico del proprio video – che potrà restare privato, essere condiviso con i soli amici o con l’intero social network – e scegliere se permettere agli utenti di commentare o condividere i propri contenuti. Viceversa, ogni utente potrà commentare o inserire nel proprio filmato uno spezzone di quei video contrassegnati come liberamente commentabili.
Fatta chiarezza sul funzionamento, cominciamo a parlare di quale tipo di disinformazione è circolata negli ultimi sei mesi sulla piattaforma.
I temi della disinformazione
Guardando agli ultimi sei mesi – periodo che ha permesso alla redazione di Facta di studiare i contenuti presenti sulla piattaforma – gli argomenti preferiti dalla disinformazione su TikTok sono quelli collegati alla Covid-19. Come avevamo già notato in un articolo che si occupava dei trend disinformativi su Facebook, Twitter e WhatsApp, l’emergenza sanitaria globale ha monopolizzato l’attenzione degli utenti, contribuendo alla diffusione incontrollata di notizie inventate e non verificate prima sul virus e poi sulla campagna di vaccinazione in corso.
Dunque, anche su TikTok – come su altri social – si trovano contenuti che mettono in dubbio l’esistenza della pandemia e i dati relativi ad essa, che discutono la legittimità e l’utilità delle norme in vigore e che minimizzano l’importanza del piano vaccinale. Contrariamente a quanto accade su Facebook, però, la maggior parte dei contenuti sul tema non nasce per la pubblicazione su TikTok, ma consiste in filmati nati per essere pubblicati su altre piattaforme e ricondivisi con modifiche minime (riguardanti soprattutto la suddivisione in parti, poiché – come spiegato sopra – i video caricati su TikTok non possono superare i 60 secondi).
Non è raro dunque navigare su TikTok ed imbattersi in filmati registrati da volti noti della disinformazione italiana come Silvana De Mari, Roberto Petrella e Stefano Montanari, o incontrare interviste originariamente pubblicate dall’emittente Radio Radio.
In questo senso, potremmo definire TikTok una fonte secondaria di disinformazione, dal momento che nessuna delle persone o aziende citate risulta attiva sulla piattaforma cinese, ma i loro contenuti – destinati a Facebook e YouTube – finiscono per essere immessi nel flusso di TikTok e condivisi da una platea tendenzialmente più anziana della media. Il social network musicale funge così in questi casi da semplice contenitore, utile ad aumentare l’audience di messaggi pensati per altri mezzi di comunicazione, mentre i pochi contenuti originali risultano grezzi e poco professionali.
Ma i casi di disinformazione non si fermano qui. La fascia più giovane della popolazione di TikTok non è immune alle dinamiche della disinformazione e, come abbiamo raccontato in almeno due circostanze, le persone minorenni sono quelle più investite dalle notizie false a tema crime, uno degli argomenti più trattati sulla piattaforma. La disinformazione riguarda in questo caso presunti omicidi molto cruenti, come nel caso del delitto di Lancaster, serial killer o improvvisi decessi (mai avvenuti) di tiktoker.
Le dinamiche sono quelle della disinformazione classica, ma la novità è che questo genere di contenuti sono in media molto curati e accompagnati da un sottofondo musicale lugubre. A differenza della disinformazione a tema Covid, le false notizie crime sono dunque pensate per un pubblico nativo di TikTok e da lì riescono a diffondersi anche su Facebook e Twitter.
Chi diffonde la disinformazione su TikTok
Come abbiamo visto, buona parte dei contenuti disinformativi incontrati su TikTok provengono da fonti che abbiamo imparato a conoscere attraverso altre piattaforme e finiscono sul social network cinese spesso senza la precisa volontà dei creatori originali. Tra le fonti più diffuse vale la pena citare ancora l’emittente Radio Radio (qui ad esempio ripresa attraverso uno spezzone pubblicato su YouTube e di cui ci eravamo occupati in passato), il sito e canale televisivo Byoblu e il canale Telegram Buffonate di Stato (che mentre scriviamo conta oltre 24 mila utenti).
Questi contenuti multipiattaforma arrivano su TikTok grazie all’intermediazione di tiktoker medio-piccoli, che contano in media meno di mille follower ma in grado di arrivare a grandi platee grazie ad un accorto utilizzo di hashtag e canzoni di tendenza.
Esistono poi dei veri e propri micro-influencer della disinformazione, che hanno stabilito su TikTok il cuore pulsante della propria attività e che non ritroviamo sugli altri social. Si tratta di creatori di contenuti amatoriali, divenuti celebri tra i complottisti e i negazionisti della Covid-19 grazie ai video delle loro improvvisazioni riprese attraverso la telecamera frontale dello smartphone.
Tra questi vale la pena nominare Roby971 e Angelo D’Agnano, pronti a infiammare il pubblico di TikTok con invettive contro l’obbligatorietà vaccinale e con denunce agli immaginari piani del “Nuovo Ordine Mondiale”. Il tutto rigorosamente intervallato da scene di vita quotidiana, che mostrano i tiktoker alle prese con il traffico della città o con la preparazione del pranzo. Anche in questo caso siamo di fronte a profili seguiti da poche centinaia di persone, ricreati con regolarità dopo i frequenti ban disposti dai moderatori – da qualche giorno TikTok ha rimosso per la nona volta l’account di D’Agnano – ma facilmente rintracciabili attraverso la ricerca per hashtag come #nomask #nodittatura e #novax.
In conclusione
La disinformazione non è una prerogativa dei social più “anziani”, di cui ci siamo più volte occupati, ma interessa anche TikTok, il social network musicale che da ottobre 2020 ha attivato un suo programma di verifica dei contenuti.
Gli argomenti preferiti della disinformazione su TikTok sono quelli che hanno a che fare con la pandemia di Covid-19, un dato in linea con quelli riscontrati su Facebook. Diversamente da quanto avviene sul social network fondato da Zuckerberg, invece, TikTok si presenta come una fonte secondaria di disinformazione, dal momento che la maggior parte dei contenuti arrivano dall’esterno e in particolar modo da Facebook, YouTube e Telegram.
Tra i contenuti “nativi” di TikTok ci sono invece quelli che interessano la fascia più giovane della popolazione e tra questi troviamo un’ampia incidenza del tema crime. Si tratta di video mediamente più curati, che riguardano presunti omicidi, serial killer e decessi improvvisi di influencer.
Su Tiktok ci sono dei veri e propri micro-influencer della disinformazione, che sono soliti riprendere le proprie invettive su obbligatorietà vaccinale e teorie del complotto intervallandole a scene di vita quotidiana. In questo caso siamo di fronte a profili seguiti da poche centinaia di utenti e a più riprese bannati dalla piattaforma, ma che riescono a diffondere i propri video grazie ad un saggio utilizzo di hashtag e canzoni (due criteri di ricerca ammessi da TikTok).
pasquale
leggendo i vostri articoli, mi sono reso conto dei danni che possono derivare da tutte queste bufale.
ma a mio parere non ci vorrebbe molto per risolvere il problema, basterebbe adottare una legge, che rendesse responsabile, i vari siti di tutto ciò, che in essi viene pubblicato.
D’altronde, se io so che stanno per commettere un crimine e non faccio niente per impedirlo, vengo considerato complice di chi lo commette, non vedo perché questi social ed i loro inventori si devono arricchire sulla pelle della povera gente, senza subirne nessuna conseguenza.
e come se io ho una pistola e la presto ad un amico, il quale con la stessa ammazza una persona o commette una rapina, non credo che io potrei cavarmela senza subire alcun danno.