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Il conflitto in Medio Oriente ha fomentato l’antisemitismo e l’islamofobia

Con il conflitto tra Israele e Palestina, e la complicità della disinformazione, sono riaffiorate teorie e pratiche antisemite e islamofobe

10 novembre 2023
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Di Francesca Capoccia

La mattina del 7 ottobre 2023 migliaia di miliziani del gruppo estremista palestinese Hamas sono entrati nello stato di Israele prendendo di mira la città di Sderot, una ventina di villaggi del Sud del Paese, due installazioni militari e un festival di musica. Il bilancio dell’attacco include case bruciate, villaggi distrutti, persone prese in ostaggio e circa 1.400 vittime.

Come risposta all’attacco – e con l’obiettivo dichiarato di liberare gli ostaggi – l’esercito israeliano ha iniziato un assedio totale e ha scatenato intensi bombardamenti sulla striscia di Gaza. A oltre un mese dall’inizio dell’escalation di violenza tra Hamas e Israele, le Nazioni Unite hanno definito la situazione a Gaza un «disastro collettivo».

Oltre al dato di cronaca e alla triste conta delle vittime, il conflitto in Medio Oriente ha portato però anche con sé narrazioni disinformative che hanno alimentato ulteriormente l’antisemitismo e l’islamofobia già presenti nelle nostre società.

La disinformazione contro Israele
Nei giorni seguenti all’attaco del 7 ottobre, sul proprio profilo ufficiale di X lo Stato di Israele ha pubblicato fotografie delle famiglie e dei cittadini israeliani presi in ostaggio o uccisi per mano di Hamas, tra cui diversi bambini. Alcune persone, però, facevano e fanno tuttora fatica a credere che sia stata opera del gruppo palestinese.

Ad esempio, secondo alcuni commenti online Hamas non ucciderebbe mai donne e bambini. Narrazione falsa che, come ricostruito dalla BBC, si riscontra in diversi commenti pubblicati in risposta a un immagine dello Stato di Israele che ritrae un’intera famiglia uccisa dai miliziaini del gruppo palestinese. Chi non è convinto della versione di Israele sostiene che mancherebbero le prove per dimostrare il decesso dei membri della famiglia, o che Israele avrebbe ingaggiato degli attori per simulare una messinscena. Come abbiamo precedentemente spiegato su Facta.news, quella degli “attori di crisi” è una teoria del complotto che torna puntualmente a inquinare il dibattito pubblico in occasione di ogni strage o evento tragico che segna drammaticamente la nostra attualità.

Se è vero che alcune informazioni e notizie sull’attuale conflitto in Medio Oriente condivise da Israele si sono poi rivelate false, le violenze commesse da Hamas a inizio ottobre, tra cui l’uccisione della famiglia ritratta nell’immagine condivisa da Israele, sono state ampiamente documentate e verificate da media indipendenti.

Oltre a questo caso specifico, nell’ultimo mese lo Stato di Israele è stato oggetto di diversi contenuti disinformativi condivisi sulle piattaforme social. Come riportato da diverse testate internazionali, ad esempio, le forze di polizia israeliane hanno arrestato arabi israeliani o residenti palestinesi di Gerusalemme Est a causa di post sui social media che esprimevano solidarietà con il popolo di Gaza.

Sulla scia di queste informazioni, sui social media sono stati diffusi video che mostrerebbero violenti arresti di ebrei ortodossi che stavano manifestando a favore dei diritti dei palestinesi. In realtà, queste scene si riferivano però a una manifestazione dello scorso giugno contro il servizio militare obbligatorio in Israele.

Su Facebook circola anche un filmato che, secondo chi lo ha condiviso, mostrerebbe un’esplosione causata da un drone israeliano il cui obiettivo era colpire le persone palestinesi che stavano bevendo acqua da una cisterna. In realtà, come abbiamo spiegato su Facta.news, la scena ripresa è stata girata a metà ottobre a Khartoum, capitale del Sudan, quando il drone dell’esercito sudanese ha bombardato un gruppo di miliziani delle Forze di supporto rapido (RFS) radunato intorno a una cisterna di carburante.

Un altro video, invece, è stato presentato in Rete come la “scena del crimine” di un attacco aereo israliano, con bambini di Gaza che cercavano del cibo andato perduto sotto le macerie. Il filmato però circola online dal luglio 2021, e la didascalia originale lo descrive come una scena verificatasi in un campo profughi siriano vicino alla città di Hanine, in Libano, dopo un incendio.

Entrambi i video, dunque, non hanno niente a che vedere con gli intensi bombardamenti israeliani su Gaza seguiti all’attacco di Hamas, e che al momento in cui scriviamo hanno causato circa 10mila vittime secondo le autorità sanitarie palestinesi gestite da Hamas.

La disinformazione in contesti come le guerre agisce spesso in questo modo: vengono pubblicati filmati reali, ma la didascalia che li accompagna è piena di informazioni errate e che veicolano notizie parziali e false.

La disinformazione contro la Palestina
Anche Hamas e i cittadini palestinesi sono stati oggetto di un’intensa disinformazione nell’ultimo mese. Il filone disinformativo più diffuso riguarda ancora una volta la teoria del complotto degli attori di crisi e in particolare “Pallywood”, una sorta di Hollywood palestinese che produrrebbe contenuti di propaganda per conto di Hamas. Chi sostiene questa teoria infondanta punta a per minimizzare gli effetti dei bombardamenti israeliani su Gaza.

Ad esempio, il corpo senza vita di un bambino immortalato in una foto è stato descritto sui social media come un bambolotto utilizzato dal gruppo estremista palestinese per ingannare l’opinione pubblica. Lo scatto era invece reale, come testimoniato da alcuni fotogiornalisti che avevano assistito alla scena, e mostrava il cadavere di Omar Bilal Al-Banna, un bambino ucciso da un bombardamento israeliano.

In altri casi, invece, la disinformazione ha sfruttato riprese di veri e propri set cinematografici, che in precedenza nessuno aveva mai spacciato per un filmato reale, spiegando che le scene mostravano attori di Hamas mentre si preparavano a recitare e fingere le conseguenze di un bombardamento. Alcuni di questi contenuti sono stati condivisi da portavoce e dall’account ufficiale su X dello Stato di Israele.

Un video molto diffuso, e ripreso anche da politici italiani, voleva poi dimostrare che i miliziani di Hamas avessero rapito e messo in gabbia alcuni bambini israeliani durante l’attacco del 7 ottobre. Il gruppo palestinese ha effettivamente preso in ostaggio decine di persone, ma il filmato era stato publicato sui social tre giorni prima dell’attacco e non risulta avere alcun legame con l’attuale escalation militare in Medio Oriente.

L’impennata dell’odio antisemita
Con il conflitto in Medio Oriente, e la complicità della disinformazione, sono riaffiorate teorie e pratiche antisemite e islamofobe.

Secondo uno studio pubblicato a marzo 2023 dall’Institute for Strategic Dialogue (ISG) e dal CASM Technology, i contenuti ostili e discriminatori nei confronti del popolo ebraico erano già in aumento prima degli avvenimenti del 7 ottobre. Tale impennata di odio, come si legge nel rapporto, si deve principalmente all’acquisizione della piattaforma precedentemente nota come Twitter da parte di Elon Musk, che ha ridotto la moderazione dei contenuti consentendo il ripristino di molti account precedentemente bannati dalla piattaforma.

Si calcola che il volume dei tweet antisemiti in lingua inglese è più che raddoppiato nel periodo successivo all’arrivo di Musk. A causa della gravità del problema sono intervenuti oltre 150 leader ebrei, tra cui alcuni eminenti rabbini e accademici, che hanno pubblicato una lettera pubblica di critica a X e al suo proprietario per aver consentito una «nuova fase del discorso antisemita».

Come abbiamo più volte raccontato su Facta.news, i casi di antisemitismo si nutrono di diverse teorie del complotto volte a svelare i presunti “piani segreti” degli ebrei per governare il mondo. Il capostipite di questo genere letterario è stato un’opera fittizia chiamata “Protocolli dei savi di Sion”, creata ad arte dalla polizia segreta zarista all’inizio del Novecento. Questo filone ha poi dato origine alla teoria infondata della grande sostituzione etnica, secondo la quale una ristretta cerchia di ebrei avrebbe deciso di sostituire le popolazioni autoctone dei Paesi occidentali – descritte come bianche e cristiane – con migranti di diverse etnie e religioni, anche se le motivazioni dietro questo piano sono spesso generiche e confuse.

Secondo un’altra tesi, attualmente diffusa soprattutto negli ambienti della destra americana, gli ebrei avrebbero il controllo della società, dell’economia, della politica e dei media. Per questo motivo vengono accostati all’immagine della piovra che con i suoi tentacoli accerchierebbe e controllerebbe il mondo. Lo stereotipo della piovra non è stato rivolto unicamente alle persone di fede ebraica, ma è stata usata storicamente anche in altri contesti, sempre a indicare che una determinata religione, ideologia, sistema, organizzazione o Stato voglia detenere tutto il potere nelle proprie mani. Recentemente Greta Thunberg era stata ingiustamente accusata di antisemitismo per aver pubblicato una foto con il peluche di un polpo, che però si è rivelato essere uno strumento per facilitare la comunicazione delle emozioni nei bambini con disturbo dello spettro autistico.

Tutte queste teorie del complotto sono delle vere e proprie forme d’odio e non si limitano all’attacco verbale, ma possono sfociare in azioni violente e drammaticamente reali. Il caso più eclatante è stato l’assalto all’aeroporto di Machačkala, capitale della Repubblica autonoma del Daghestan, nel Caucaso, dove il 29 ottobre 2023 centinaia di persone si sono radunate per bloccare la discesa da un aereo ai passeggeri in arrivo da Israele. Secondo quanto ricostruito dalla BBC, le indicazioni sarebbero state date su Utro Dagestan, canale Telegram anti-russo e islamista che sostiene la fine di quello che definisce il “regime di occupazione di Mosca” nel Caucaso, e che si è dichiarata a sostegno del gruppo palestinese Hamas. Tra i vari messaggi inviati, veniva suggerito anche di fotografare i volti dei passeggeri e seguirne le auto così da stilare un elenco dei loro indirizzi in Daghestan. Il canale invitava inoltre la popolazione locale a rifiutarsi di affittare appartamenti agli ebrei.

Questo non è un caso isolato. Il movimento Combat Antisemitism (CAM), che dal 2019 si occupa di contrastare l’antisemitismo, al momento in cui scriviamo ha contato oltre 280 episodi antisemiti che si sono verificati a partire dal 7 ottobre 2023 in vari Paesi. Tra questi troviamo attacchi alle sinagoghe, aggressioni alle persone ebree, distruzione di volantini che riportavano le informazioni dei cittadini israeliani rapiti da Hamas e stelle di David disegnate sui muri delle case.

L’impennata dell’odio islamofobo
Secondo un’analisi pubblicata da Global Project Against Hate and Extremism (Gphe), da dopo l’attacco di Hamas e dopo la conseguente risposta israeliana, c’è stato un incremento del 500 per cento di insulti e discorsi violenti contro le comunità ebraiche e musulmane su 4chan e su altre piattaforme prive di politiche di moderazione. Negli Stati Uniti, la polizia è in stato di massima allerta, dal momento che stando alle dichiarazioni di Christopher Wray, direttore dell’FBI, il conflitto in Medio Oriente potrebbe ispirare casi di violenza nel Paese.

A Plainfield Township, nell’Illinois, un bambino palestinese-americano di sei anni è stato accoltellato dal padrone di casa perché, come confermato dalle forze dell’ordine locali, era stato preso di mira insieme alla madre in quanto musulmani e a causa del conflitto in corso in Medio Oriente. A New York, invece, due uomini hanno aggredito un ragazzo egiziano maledicendo la Palestina e l’Islam, mentre a Chicago un uomo è stato arrestato per aver minacciato di sparare a due persone musulmane.

Anche nell’Unione Europea è stato riscontrato un aumento di discorsi d’odio, minaccia e intimidazione verso le persone ebree e musulmane. Marion Lalisse, nominata dalla Commissione europea come coordinatrice per la lotta all’odio anti-musulmano, ha dichiarato di aver assistito «a una chiara tendenza all’aumento dell’odio anti-musulmano e delle narrazioni antisemite. Questi discorsi d’odio spaziano dalle micro aggressioni alle minacce chiare e abbiamo osservato che la maggior parte di essi avviene sulle piattaforme dei social media». In particolare, ha detto Lalisse «l’odio verso i musulmani ha a che fare con gli stereotipi negativi che considerano i musulmani come un gruppo monolitico coinvolto nella violenza. Tali pregiudizi sono diffusi in tutte le nazioni dell’UE».

Ad esempio, su Facebook circola un video in cui un sindaco danese avrebbe dato uno schiaffo a un uomo arabo che gridava “Allah Akbar”, ovvero “Dio è il più grande”, espressione spesso erroneamente associata all’estremismo islamico, ma che è in realtà usata dalle persone di fede musulmana in diverse occasioni, all’inizio dei riti religiosi o come esclamazione nelle situazioni quotidiane. Il filmato, comunque, non ha niente a che vedere con il conflitto attuale in Medio Oriente perché è tratto dal documentario dedicato all’attore e pugile tedesco Norbert Grupe. Inoltre, nella scena originale non viene mai pronunciata la frase “Allah Akbar”, che è stata dunque aggiunta successivamente per diffondere disinformazione e islamofobia.

Anche in Italia i contenuti islamofobi non sono mancati, e sono stati diffusi anche da politici e giornalisti. Secondo la teoria di Marco Taradash, ex parlamentare europeo, i palestinesi avrebbero una particolare «vocazione al martirio», e per questo motivo avrebbero scelto di restare nella Striscia di Gaza nonostante gli incessanti bombardamenti di Israele.

Il giornalista Tommaso Cerno ha invece condiviso su X la foto di quattro persone che sembrano indossare labaya, un velo che copre la testa e il viso, ma non gli occhi, e il niqab, un indumento coprente, spesso ampio e leggero, che avvolge tutto il corpo a eccezione di testa, mani e piedi. Nella didascalia Cerno ha commentato: «l’estremismo islamista si espone. Esibisce il Burka vietato dalla legge e inneggia a Hamas». Questi abiti sono erronemanete collegati con l’Islam più radicale, ma come abbiamo spiegato in questo approfondimento, l’abaya è un indumento tradizionale diffuso nei Paesi del Golfo Persico e dintorni, ma non è un indumento religioso.

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