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Non è vero che il «ministro della Cultura vuole coprire la nudità nei musei per non offendere» l’Islam

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8 ottobre 2020
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Il 4 ottobre 2020 su Facebook è stata pubblicata l’immagine di un quadro che raffigura una donna senza vestiti mentre muove un passo con lo sguardo chino. Accompagna il ritratto questo testo: «Siccome il ministro della cultura vuole coprire la nudità nei musei per non “offendere” il pudore dei musulmani propongo di condividere sui social foto di statue e opere d’arte».

Il riferimento è all’approvazione da parte del Parlamento italiano della Convenzione di Faro – provvedimento che riguarda il tema del patrimonio culturale e della sua eredità – e alla critiche mosse da diversi esponenti di partiti di destra (ad esempio qui e qui) secondo cui questa convenzione sarebbe una «resa culturale» perché ci sarebbe il rischio di dover censurare statue e opere d’arte in quanto potrebbero urtare la sensibilità di altre culture, come quella islamica.

Il contenuto oggetto della nostra verifica veicola in realtà una notizia falsa, come abbiamo già ricostruito anche in un nostro precedente articolo. Andiamo con ordine.

Post pubblicato su Facebook il 4 ottobre 2020 – Notizia falsa

Lo scorso 23 settembre il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione di Faro, promossa dal Consiglio d’Europa che, ricordiamo, è un’istituzione europea ma non dell’Unione europea. L’Italia aveva già firmato la Convenzione nel febbraio 2013, ma per la sua entrata in vigore mancava la ratifica del Parlamento.

Come ha spiegato Pagella Politica in un approfondimento sull’argomento, gli articoli della Convenzione contestati dai critici sono principalmente due: «l’articolo 4c, dove viene previsto che “l’esercizio del diritto all’eredità culturale [definita all’articolo 2 come “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione” n.d.r.] può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”, che secondo l’opposizione potrebbe portare alla censura di opere d’arte (in nome degli «altrui diritti e libertà»). L’altro è l’articolo 7b, dove si dispone che siano stabiliti dei “procedimenti di conciliazione per gestire equamente le situazioni dove valori tra loro contraddittori siano attribuiti alla stessa eredità culturale da comunità diverse”. Qui il timore è che un cittadino di religione islamica che si senta offeso, per esempio, da un dipinto rinascimentale che ritrae Maometto all’inferno – ad esempio quello di Giovanni da Modena nella basilica di San Petronio a Bologna – possa in qualche modo attivare queste procedure di conciliazione, di nuovo con esiti di carattere censorio».

Il ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschiniin un’intervista al Corriere della Sera del 24 settembre 2020, ha smentito questa possibilità sostenendo che «nessuna censura è perpetrabile nel nome di questo atto, che mira piuttosto alla maggiore condivisione possibile di quanto abbiamo ereditato dalle civiltà che ci hanno preceduto». Stessa posizione è stata presentata anche da esperti, come riportato da fonti di stampa. Inoltre, lo stesso Consiglio d’Europa ha comunicato in una nota esplicativa affiancata al testo della Convenzione che «nessuna disposizione della presente Convenzione può garantire diritti agli individui tramite la mera ratifica, senza azioni legislative da parte dei singoli Stati». Questo significa che per garantire ai cittadini particolari “diritti” legati alla convenzione (come ad esempio chiedere che una certa statua venga velata) il Parlamento deve approvare leggi specifiche.

Sempre Pagella Politica, infine, ha raccolto testimonianze da cinque Paesi (Serbia, Ungheria, Austria, Norvegia, Finlandia) che applicano la Convenzione di Faro da diversi anni e in tutti i casi è stato confermato che l’applicazione della Convenzione «non ha mai portato a esiti controversi come la censura di opere d’arte».

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