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Come i falsi documenti ufficiali sono diventati un genere della disinformazione durante l’emergenza Covid-19

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15 ottobre 2020
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Esiste un filone della disinformazione sul nuovo coronavirus spesso sottovalutato, più facile da disinnescare rispetto alle teorie sul virus creato in laboratorio – magari su presunto ordine di Bill Gates – e sulla correlazione tra Covid-19 e tecnologia 5G, ma non per questo meno diffuso. Una lunga serie di falsi documenti ufficiali, almeno dodici dall’inizio della pandemia a oggi, che hanno fatto capolino nella Rete italiana e non solo. Si tratta di elaborazioni grafiche in grado di circolare diffusamente sui social network e su WhatsApp, arrivando a ingannare in alcuni casi anche i mezzi d’informazione mainstream.

L’ultimo prodotto in ordine di tempo è stata la falsa bozza di decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) con cui il 10 ottobre 2020 il governo Conte II avrebbe disposto il libero accesso delle forze dell’ordine alle abitazioni private per assicurare il rispetto della prescrizione sul numero massimo di partecipanti a un raduno in casa. L’11 ottobre il falso documento è stato pubblicato da una testata giornalistica, che il giorno successivo ha smentito la notizia e pubblicato le scuse ai lettori.

Ma la storia dell’emergenza Covid-19 è stata scandita dal ritmo incessante di Pdf e immagini – spesso molto ben realizzate – contenenti provvedimenti spesso considerati reali ma in realtà mai passati dal tavolo del governo e delle giunte regionali. Ecco di che cosa stiamo parlando.

Timeline di una pandemia parallela 

Tutto è iniziato il 24 marzo 2020, due settimane dopo l’emanazione del decreto che prevedeva il lockdown per l’intero territorio italiano, con il Pdf di un presunto provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che dava notizia della «riduzione degli stipendi delle più alte cariche dello Stato», come conseguenza della pandemia di Covid-19.

Il falso documento, circolato sia in formato Pdf che sotto forma di scansione, era all’apparenza indistinguibile da una vera pagina della Gazzetta Ufficiale, dove viene pubblicato il testo definitivo delle leggi approvate, e ne riproduceva lo stile e il linguaggio burocratico. Il suo unico limite consisteva nell’assenza dei corretti riferimenti normativi – sia quelli del presunto provvedimento, inesistenti, sia l’ancoraggio a norme precedenti – che erano invece quelli del decreto “Cura Italia”, pubblicato il 17 marzo 2020.

Appena cinque giorni più tardi la disinformazione si è spostata fuori dal web, con il ritrovamento in diverse province italiane di volantini affissi fuori da alcuni appartamenti, che invitavano la popolazione ad abbandonare «le abitazioni ospitanti per rientrare nel loro domicilio di residenza». I fogli contenevano l’intestazione del Ministero dell’Interno, il logo della Repubblica italiana e il riferimento normativo alle misure al tempo adottate dal governo Conte II per istituire il lockdown. Per smentire i falsi volantini è servito addirittura l’intervento della Polizia di Stato, che il 29 marzo su Twitter e sul suo sito ufficiale ha parlato di un’operazione volta a diffondere «informazioni false e ingannevoli».

Il giorno successivo, il 30 marzo, abbiamo assistito al debutto delle false autodichiarazioni per gli spostamenti. L’Italia era al tempo in pieno lockdown e per lasciare la propria abitazione era necessario compilare un modulo che attestasse l’urgenza o la comprovata esigenza di uscire: tra il 9 marzo e il 3 giugno ne sono state pubblicate sei versioni ufficiali, aggiornate di volta in volta in base alle novità normative.

Un falso modulo circolato a fine marzo, anche se privo di differenze sostanziali rispetto a quello reale, riportava l’intestazione del Ministero dell’Interno e il logo della Repubblica. La smentita ufficiale è anche in questo caso arrivata da profili social e pagine web istituzionali, in particolare da quelle del Viminale e della Polizia di Stato.

La disinformazione sulla Fase 2

All’inizio di aprile l’Italia costretta al lockdown iniziava a intravedere la luce in fondo al tunnel. All’epoca il numero di casi era inferiore al picco toccato negli ultimi giorni di marzo e il trend dei nuovi contagi giornalieri induceva a un cauto ottimismo; il dibattito pubblico era concentrato su una possibile “Fase 2” e sulle prime parziali riaperture di alcuni esercizi commerciali. Queste ultime erano contenute nel Dpcm approvato il 10 aprile ma erano limitate a «librerie, cartolerie e negozi per bambini».

Nonostante ciò, il giorno successivo è circolato lo screenshot di un presunto «allegato 1» del provvedimento, contenente le diverse tipologie di esercizi commerciali e che alla voce «commercio al dettaglio» annoverava anche il «commercio al dettaglio di bambini e neonati». Il vero allegato 1, naturalmente, non conteneva nulla del genere e faceva riferimento al «commercio al dettaglio di vestiti per bambini e neonati».

Nelle stesse ore erano partite le prime speculazioni circa la data in cui sarebbe stato possibile riaprire tutte le altre attività, un’esigenza collettiva sfociata il 13 aprile 2020 nella diffusione di un presunto documento ufficiale – recante il logo della presidenza del Consiglio – che conteneva un cronoprogramma dettagliato delle future riaperture. Si trattava, anche in quel caso, di un falso.

Di Fase 2 si è tornati a parlare il giorno successivo, il 14 aprile 2020, quando un documento con il logo della Regione Lombardia dal titolo «Bozza di accordo quadro Governo-Regioni per il recepimento delle direttive nazionali in materia di riaperture post COVID19» fece il giro delle chat di WhatsApp, annunciando la «libera circolazione sul territorio nazionale» dei cittadini sotto gli 85 anni d’età a partire dal 4 maggio. Gli entusiasmi vennero però ancora una volta spenti attraverso i canali ufficiali istituzionali: questa volta toccò alla Regione Lombardia twittare la smentita, con un messaggio che rimandava al sito istituzionale e definiva «vergognosa e gravissima» l’operazione di disinformazione, promettendo una denuncia contro ignoti.

Nel frattempo si avvicinava la stagione estiva e con essa i dubbi sulle dinamiche che nella Fase 2 avrebbero regolato l’accesso ai lidi balneari. È in questo contesto che il 16 aprile si è inserito un presunto documento della Questura di Roma che vietava di svolgere attività balneari «a scopo ricreativo» fino all’11 giugno a causa dei possibili contagi da Covid-19. Un divieto prematuro, ma soprattutto inesistente, dal momento che la stessa Questura di Roma il 24 aprile ha dichiarato di «non riconoscere come proprio» il documento in questione.

Il 4 maggio 2020 il fortunato filone dei falsi documenti ufficiali ha poi incrociato la strada di un altro genere molto in voga durante la pandemia, quello dei cosiddetti “microchip sottocutanei” (ne avevamo parlato ad esempio qui, qui e qui). In quel caso spuntò addirittura una falsa liberatoria, con il logo della Repubblica italiana, che sarebbe servita a dichiarare la propria disponibilità all’inserimento di un microchip sotto la pelle collegabile tramite bluetooth e rete 5G. Il contenuto in questione aveva fatto il suo esordio sui social network con intento umoristico, prima di essere decontestualizzato e utilizzato per alimentare le teorie del complotto.

Il 4 maggio 2020 ha anche segnato l’inizio ufficiale della Fase 2, con il progressivo allentamento delle norme di distanziamento sociale e la graduale riapertura di tutte le attività. Con il diradarsi dei decreti relativi all’emergenza Covid-19, anche la disinformazione sui provvedimenti ufficiali ha iniziato un processo di regressione, tornando a farsi sentire solo il 13 luglio, con questa falsa circolare che prorogava lo stato d’emergenza fino alla primavera del 2021, e il 20 agosto, quando una falsa comunicazione dell’Ospedale Cotugno di Napoli annunciava l’esaurimento dei posti letto riservati ai malati di Covid.

Come anticipato in apertura, la risalita dei contagi avvenuta nella prima metà di ottobre 2020 ha riportato in auge il tema dei falsi documenti ufficiali, con una presunta bozza di Dpcm smentita dal ministero della Salute l’11 ottobre, prima della pubblicazione ufficiale del provvedimento vero e proprio, licenziato da Conte solo il 13 ottobre.

In conclusione

Uno dei filoni più prolifici della disinformazione sulla Covid-19 è quello che riguarda i falsi documenti ufficiali, diffusi su WhatsApp o tramite i social network e potenzialmente in grado di destabilizzare l’opinione pubblica in un momento delicato come quello di una pandemia.

Dal 9 marzo (giorno dell’istituzione del lockdown nazionale) a oggi, la redazione di Facta ha registrato almeno 12 casi di disinformazione circolata attraverso la diffusione di falsi decreti, allegati, bozze, circolari o autocertificazioni, tutte create ad arte per cavalcare lo smarrimento generale di fronte a una situazione inedita come quella generata dal nuovo coronavirus.

Dopo una calma apparente durata tutta l’estate, questo genere disinformativo è tornato a colpire lo scorso 10 ottobre 2020, con la pubblicazione della falsa bozza di un Dpcm licenziato dal governo.

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