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Sorveglianza vaccinale: come NON interpretare i dati sugli eventi avversi da vaccino

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1 luglio 2021
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I timori che circondano i vaccini contro la Covid-19 si concentrano principalmente su una domanda: quali sono i pericoli per la salute? Sappiamo da tempo che in generale i vaccini sono pressoché sempre sicuri e i loro benefici superano ampiamente i rischi.

Durante la pandemia però sono stati disegnati ripetutamente scenari apocalittici in cui “dati ufficiali” conferemerebbero che i vaccini causerebbero migliaia di effetti gravi sulla salute, fino a parlare di numerosi presunti decessi: un filone di disinformazione che abbiamo dovuto affrontare molto spesso su Facta.  Al cuore di queste teorie c’è quello che, paradossalmente, è un sistema nato proprio per garantire la sicurezza dei vaccini: la sorveglianza vaccinale.

Si tratta del sistema che monitora continuamente i vaccini dopo la sperimentazione clinica per garantirne la sicurezza, raccogliendo enormi quantità di dati che vengono costantemente analizzati per verificare l’esistenza di effetti indesiderati. Lo abbiamo visto in funzione per il vaccino AstraZeneca, dove è riuscito con successo a identificare un rischio per la salute estremamente raro e di difficile previsione.

Per difenderci da queste informazioni fuorvianti e per capire meglio un sistema da cui dipende la sicurezza di tutti noi, abbiamo riassunto qui alcune informazioni utili sui sistemi di sorveglianza vaccinale e sul perché i numeri riportati nei loro database non devono farci paura.

Che cos’è la sorveglianza vaccinale

La sorveglianza vaccinale è parte della farmacovigilanza, che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce come «la scienza e le attività finalizzate all’identificazione, alla valutazione, alla comprensione e alla prevenzione degli effetti avversi o di qualsiasi altro problema correlato all’uso dei medicinali, per assicurare che un farmaco venga utilizzato per indicazioni in cui i benefici sono superiori ai rischi». Lo scopo della sorveglianza è individuare se ci sono effetti indesiderati – in gergo tecnico, reazioni avverse – scatenati dal vaccino che possono non essere state individuate durante gli studi clinici, ad esempio in quanto molto rare, e insieme a questo comprenderne i fattori di rischio. È considerata dall’Oms uno degli strumenti essenziali per garantire la sicurezza dei farmaci.

Di farmacovigilanza, o sorveglianza dei farmaci, si può parlare fin dal 1848 quando, in seguito al decesso di una giovane ragazza inglese dopo un’anestesia a base di cloroformio, la rivista medica Lancet istituì una commissione per raccogliere e investigare i rapporti medici di decessi avvenuti durante o dopo l’anestesia. La sorveglianza sui farmaci venne organizzata sistematicamente però solo negli anni ‘60 del XX secolo, in seguito al disastro del talidomide che causò migliaia di casi di malformazioni agli arti.

Ma come funziona questo sistema? La grande maggioranza delle informazioni di sorveglianza dei vaccini e altri farmaci deriva dalla segnalazione spontanea. I principali vantaggi di questo approccio sono il basso costo e l’ampia copertura (idealmente, tutta la popolazione vaccinata) che permette di venire a conoscenza anche di eventi molto rari. Viceversa, è vero che solo una piccola percentuale dei problemi di salute che accadono dopo un vaccino vengono segnalati (ad esempio non tutti quelli che hanno qualche linea di febbre dopo una vaccinazione segnalano l’accaduto) e, come abbiamo visto su Facta, i dati possono essere inquinati da segnalazioni false. Per questo, come spiegato dall’Oms, alla segnalazione spontanea può accompagnarsi in alcuni casi un approccio di sorveglianza attiva, in cui si monitorano e cercano eventuali effetti dei vaccini, o studi epidemiologici.

Oggi i principali sistemi di sorveglianza sui vaccini, in Occidente, sono il sistema di sorveglianza dei farmaci EudraVigilance – fondato nel dicembre 2001 e a cui guarda tutto lo Spazio economico europeo (che comprende Unione europea, Islanda, Liechtenstein e Norvegia) – e il sistema di sorveglianza dei vaccini statunitense Vaers, fondato nel 1990; i loro dati, insieme a quelli di altre agenzie di tutto il mondo confluiscono infine nel database Oms Vigibase.

Come vengono raccolti i dati

In Italia il sistema di sorveglianza vaccinale è gestito dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che raccoglie i dati e li invia in seguito al database europeo di EudraVigilance. Come spiegato dall’Istituto superiore di sanità, tutto ha inizio dalla raccolta delle segnalazioni degli eventi avversi: in gran da parte da medici e operatori sanitari (oltre il 90 per cento delle segnalazioni secondo uno studio che prendeva in esame i dati tra il 2008 e il 2017), ma in alcuni casi anche dai pazienti stessi. La segnalazione viene compilata online o su carta tramite moduli (come questo utilizzabile dai cittadini o come questo per medici e operatori sanitari). Tra i dati che vengono raccolti c’è la data, le condizioni di salute del paziente, il lotto del farmaco e così via. Le segnalazioni vengono poi inserite nel database della Rete nazionale di farmacovigilanza e valutate dall’Aifa, che seleziona e le invia al database europeo di EudraVigilance. La procedura esatta di gestione delle segnalazioni di farmacovigilanza è documentata apertamente sul sito dell’Aifa.

L’Italia ha un sistema di sorveglianza vaccinale particolarmente buono rispetto alla media europea. Secondo un’analisi scientifica della sorveglianza vaccinale in Italia tra 2008 e 2017, pubblicata sulla rivista accademica Scientific Reports il 24 agosto 2020, l’Italia è prima tra i Paesi europei per il numero di segnalazioni riguardanti i vaccini e seconda nel mondo dopo gli Stati Uniti; è sesta tra i Paesi europei per segnalazioni in rapporto alla popolazione, con 73,1 eventi segnalati ogni milione di abitanti. Uno studio realizzato da funzionari dell’Oms, pubblicato nel 2014, poneva l’Italia al primo posto per la percentuale di segnalazioni «ben documentate» (65 per cento), ovvero in cui le informazioni sul paziente, sulla sospetta reazione avversa e il suo esito finale sono compilate in modo esaustivo.

Come si stabilisce se un vaccino ha effetti collaterali

La raccolta di segnalazioni è solo il primo passo per stabilire se effettivamente un vaccino (o un qualsiasi altro farmaco) possa causare effetti sulla salute. Ogni segnalazione infatti include uno o più eventi avversi avvenuti dopo la vaccinazione, ma non può stabilire se il vaccino è stato causa dell’evento.

Le segnalazioni al sistema di sorveglianza, insieme a studi clinici e altre fonti scientifiche, vengono integrate e analizzate allo scopo di cercare quelli che vengono chiamati safety signal o segnali di sicurezza. Un segnale di sicurezza è una sorta di allerta: una collezione di informazioni che punta alla possibilità di un rapporto causa-effetto tra il vaccino e un particolare effetto avverso. In parole povere, un’ipotesi e non una prova, basata su indizi incerti e preliminari, che va dimostrata.

In linea di principio, può sembrare semplice: si tratta di comprendere se un determinato evento accade più spesso del previsto in seguito al vaccino. Come descritto dall’Oms, i primi passi richiedono di tabulare e organizzare i dati in modo da poterli separare secondo diverse variabili (luogo, data, tipo di evento etc.), calcolare l’incidenza dell’evento avverso su varie popolazioni di vaccinati e infine bisogna determinare se tale incidenza muta con il vaccino: un’operazione complessa che richiede metodi statistici avanzati e l’analisi di enormi quantità di dati.

In generale l’analisi dei segnali di sicurezza viene gestita in collaborazione tra l’European medicines agency (Ema) – l’agenzia dell’Unione europea che si occupa di valutazione e supervisione dei farmaci – , le agenzie equivalenti degli stati membri come l’Aifa in Italia e le aziende farmaceutiche. Infine i segnali vengono valutati dal Comitato di Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza dell’Ema. L’Ema ha pubblicato un riassunto dei metodi utilizzati per identificare e analizzare segnali di sicurezza dai rapporti EudraVigilance.

In casi di segnalazioni gravi o dovute a eventi di cui finora era sconosciuta l’associazione con il vaccino, è opportuno investigare anche le singole segnalazioni, raccogliendo dati sui pazienti e cercando di comprendere per ciascun caso se c’è stata una correlazione con il vaccino; è per esempio quello che ha fatto e tuttora fa l’Aifa per i sospetti decessi dovuti ai vaccini contro la Covid-19. L’Oms ha pubblicato delle linee guida per l’indagine di questi casi.

Da strumento di sicurezza a pretesto per la disinformazione

«Oltre 12mila morti a causa del vaccino anti covid-19», «Genocidio in corso», «la più grande strage da vaccino». Sono numerosissimi gli articoli e i post sui social media che descrivono in termini drammatici la campagna di vaccinazione contro la Covid-19 partendo sempre dalla stessa fonte: i database di sorveglianza vaccinale, interpretati come elenchi di problemi di salute diretta e inequivocabile conseguenza dei vaccini.

È evidente però, da quanto abbiamo visto – e anche da un’occhiata superficiale alle fonti che abbiamo linkato nei paragrafi precedenti – che stabilire la correlazione tra gli eventi avversi riportati nei dati di sorveglianza e la vaccinazione è un compito delicato e complesso. Non ha quindi alcun senso prendere i dati grezzi della sorveglianza vaccinale e interpretarli come eventi effettivamente legati al vaccino. Tutti i programmi di sorveglianza farmacologica e vaccinale dichiarano esplicitamente che gli eventi avversi presenti sui loro database non si possono considerare, di per sé, come dovuti ai vaccini, e abbiamo visto su Facta che, quando i rapporti vengono analizzati, la grandissima maggioranza di tali eventi risultano scorrelati dai vaccini.

Il solo fatto che un evento avverso accada poco dopo il vaccino non significa, infatti, che questo sia responsabile. Per esempio, come spiegato dall’Oms, molte vaccinazioni infantili vengono effettuate nello stesso periodo in cui si possono manifestare condizioni neurologiche o congenite, e quindi è facile che vaccino e problemi di salute possano sembrare correlati quando non lo sono.

Paradossalmente i sistemi di sorveglianza vaccinale, che sono la nostra principale garanzia per la sicurezza a lungo termine dei vaccini, sono stati usati durante la pandemia di Covid-19 come una vera e propria arma di disinformazione, rimuovendo i dati dal loro contesto e presentandoli come fossero documentazione certa di danni da vaccino. Negli Stati Uniti siti come OpenVaers elaborano i dati degli eventi avversi, rimuovendone il contesto e presentandoli come «danni da vaccino». Un progetto che secondo Kolina Koltai – ricercatrice sulla disinformazione al Center for an Informed Public dell’Università di Washington e interpellata da Vice in merito – è un esempio da manuale di disinformazione.

Secondo un articolo pubblicato il 26 maggio 2021 dalla rivista Science, database come Vaers, pensati per essere consultati da esperti che ne conoscono i limiti, possono indurre confusione nel pubblico; benché sia necessario mantenerli aperti e accessibili, sarebbe importante un investimento nella comunicazione, per contrastare quanto possibile il loro utilizzo distorto.

In conclusione

La sorveglianza vaccinale è un meccanismo essenziale per garantire la sicurezza dei vaccini, permettendo a operatori sanitari e al pubblico di depositare e consultare tutti i dati che fanno sospettare effetti negativi di un vaccino sulla salute. Questi dati grezzi, di per sé, non sono altro che il punto di partenza: solo dopo indagini dettagliate ed elaborazione matematica è possibile stabilire se vi sia o meno un fondato sospetto di un effetto negativo dei vaccini sulla salute.

Fino a poco tempo fa i database di sorveglianza vaccinale erano noti in gran parte solo agli specialisti. Con la pandemia da Covid-19 i dati della sorveglianza sono diventati, loro malgrado, anche una sorgente di timori e disinformazione sulla campagna vaccinale. È probabilmente il momento di un dialogo tra le istituzioni che si occupano di questi database, i comunicatori della scienza e i media per far sì che queste informazioni, di per sé preziose, non vengano usate in modo strumentale mettendo a rischio la campagna di vaccinazione contro la Covid-19 e, in futuro, contro altre malattie infettive.

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