Alle Paralimpiadi Valentina Petrillo dovrà sfidare anche la transfobia - Facta
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Alle Paralimpiadi Valentina Petrillo dovrà sfidare anche la transfobia

Di Francesca Capoccia

«Sei un uomo, gareggia con gli uomini». «Ma non ti vergogni a fare una competizione con DONNE VERE?????». Sono solo alcuni dei commenti transfobici che si leggono sotto gli ultimi post social pubblicati da Valentina Petrillo, atleta italiana transgender e con una disabilità visiva causata dalla malattia di Stargardt che le è stata diagnostica a 14 anni. 

Questa ondata di odio è arrivata a pochi giorni dalla partecipazione di Petrillo alle Paralimpiadi, in programma a Parigi dal 28 agosto all’8 settembre 2024. L’atleta, che correrà i 200 e i 400 metri nella categoria T12 – cioè quella dedicata alle atlete con disabilità visiva – sarà la prima donna transgender a gareggiare alle Paralimpiadi. 

Quello che viene contestato a Petrillo è il diritto di competere nelle gare femminili ai prossimi Giochi olimpici, perché non rispetterebbe i criteri di partecipazione e avrebbe dunque “rubato” il posto ad altre atlete. Questa narrazione, sostenuta anche da esponenti politici italiani della destra, va avanti da almeno un anno, quando ai campionati del mondo di atletica leggera paralimpica del 2023, a Parigi, Petrillo era arrivata terza nei 200 e nei 400 metri T12, conquistando così la qualificazione olimpica per entrambe le discipline. «La nostra atleta spagnola Melani Bergés ha perso la possibilità di qualificarsi per le Paralimpiadi. Il motivo è la partecipazione dell’uomo Fabrizio ‘Valentina’ Petrillo, che è arrivato in finale al suo posto. Questo è ingiusto», aveva twittato all’epoca l’avvocata spagnola di diritto internazionale Irene Aguiar. Tra l’altro, l’avvocata si era riferita a Petrillo utilizzando il dead name (il nome e il genere assegnato alla nascita), un atto discriminatorio nei confronti delle persone trans.

A favore dell’atleta spagnola Bergés si erano schierate anche diverse associazioni e federazioni che avevano inviato una lettera al Comitato paralimpico spagnolo. La tesi sostenuta è che Petrillo avrebbe sfruttato i vantaggi derivanti dal testosterone per ottenere un posto ai Giochi olimpici, che sarebbe stato invece «di diritto all’atleta spagnola», arrivata subito dietro Petrillo nei 200 metri T12.

Quella del testosterone è un argomentazione che viene spesso tirata in causa per discriminare atlete transgender e atlete con livelli di testosterone naturalmente elevati, come nel caso della pugile algerina Imane Khelif. Questo ormone, infatti, presente sia negli uomini che nelle donne, a livello sportivo rappresenterebbe un problema perché è legato ad attributi fisici come la massa muscolare e la forza, e darebbe alle atlete un vantaggio che viene definito ingiusto.

Petrillo spiega che, con il percorso di transizione di genere intrapreso nel 2019, il suo metabolismo ha subito dei notevoli cambiamenti. In genere, con la terapia ormonale per le donne trans vengono abbassati i livelli di testosterone e aumentati quelli degli estrogeni. «Non sono più la persona energetica che ero una volta. Nei primi mesi della transizione sono ingrassata di 10 chili, sono diventata anemica e la mia emoglobina è bassa», aveva dichiarato nel 2021 l’atleta alla BBC. «Non ho più la stessa forza fisica, è cambiato il sonno e ho sbalzi di umore», aveva aggiunto.

Cosa dice il regolamento paralimpico
A differenza di quanto denunciato da utenti sui social e da alcune associazioni, Valentina Petrillo ha tutto il diritto di gareggiare nella categoria femminile alle prossime Paralimpiadi dal momento che rispetta i requisiti stabiliti dall’Atletica paralimpica mondiale (WPA). Il Comitato paralimpico internazionale (IPC) ha infatti delegato ai singoli comitati sportivi la possibilità di stabilire le proprie regole quando si tratta di persone trans.

Stando al punto 4.5.3 della sezione “Genere” del regolamento della WPA, un’atleta è idonea a gareggiare nelle competizioni femminili se è riconosciuta come donna dalla legge, e se rispetta gli altri punti del regolamento della WPA.

Il mondo paralimpico segue infatti i principi di non discriminazione sulla base dell’identità di genere e del cambio di sesso stabiliti dal Comitato olimpico internazionale (CIO). In particolare, secondo il principio di “non presunzione di vantaggio”, «fino a prova contraria, non si deve può dare per scontato che gli atleti godano di un vantaggio competitivo ingiusto o sproporzionato a causa delle loro variazioni di sesso, del loro aspetto fisico e/o del loro essere transgender».

Oltre a dichiarare che la propria identità di genere è femminile, ha chiarito la WPA all’Associated Press, le atlete transgender che gareggiano nelle competizioni femminili devono anche fornire la prova che i loro livelli di testosterone siano stati inferiori a 10 nanomoli per litro di sangue per almeno i 12 mesi precedenti alla loro prima competizione. 

«Stando al regolamento, Petrillo è la benvenuta alle Paralimpiadi di Parigi», ha commentato alla BBC il presidente Andrew Parsons, aggiungendo poi che «il movimento sportivo, guidato dalla scienza, dovrebbe trovare risposte migliori per queste situazioni e per gli atleti transgender». Per Parsons, infatti, servirebbe, «sulla base scientifica, una risposta migliore e probabilmente unitaria per queste persone».

Al momento, infatti, non c’è ancora una risposta univoca da parte della scienza sul presunto vantaggio sportivo di atlete trans, anche perché sono ancora pochi gli studi sulla performance atletica delle atlete trans, in particolare di quelle professioniste e che gareggiano ad alti livelli. 

Sentito dalla BBC, Ross Tucker, scienziato dello sport, ha spiegato che «il vantaggio maschile  si crea attraverso lo sviluppo e quindi è essenzialmente stabilito nel corso di anni e anni di esposizione al testosterone». Se i livelli di emoglobina e alcuni elementi del sistema cardiovascolare possono scomparire, specifica il professore «alcuni dei cambiamenti che il testosterone provoca, come l’aumento della massa muscolare, della forza, della forma e delle dimensioni dello scheletro, non scompaiono». Per il professore, «l’unica conclusione che si può trarre è che la persona ha ancora un vantaggio maschile anche quando il suo testosterone è più basso». 

Secondo i risultati di uno studio sulla prestazione fisica di atlete transgender, pubblicato a maggio 2024 sulla rivista accademica British Journal of Sports Medicine, rispetto alle donne cisgender, le donne transgender hanno una funzione polmonare ridotta, risultati peggiori nel test del salto in controtempo (che misura la potenza della parte inferiore del corpo), e una forma fisica cardiovascolare inferiore. La ricerca, si legge, mostra la potenziale complessità della fisiologia delle atlete transgender, ma specifica anche il bisogno di uno studio longitudinale a lungo termine per confermare se i risultati siano direttamente correlati alla terapia ormonale per il cambio di genere oppure no.

Risultati simili si ritrovano anche in altri studi, come evidenziato da un rapporto del 2022 che ha analizzato la letteratura scientifica in lingua inglese, pubblicata tra il 2011 e il 2021, sulla partecipazione delle atlete transgender nello sport ad alto livello. Ad esempio, i livelli di testosterone non predicono le prestazioni atletiche, così come non lo fanno le dimensioni dei polmoni, la densità ossea e l’angolo dell’articolazione anca-ginocchio. A influenzare la performance di uno/a sportivo/a, si legge nel rapporto, sono piuttosto altri fattori, come l’alimentazione, l’allenamento e l’accesso alle strutture e alle attrezzature sportive.Il caso di Valentina Petrillo ha riportato alla luce la necessità di nuovi studi scientifici che possano fornire linee guida più precise ai comitati sportivi, così da garantire una competizione leale e giusta nei confronti di tutte le atlete. Sebbene di questa tematica se ne stia parlando da diversi anni, le certezze sono ancora poche. E in mancanza di regole precise, a decidere chi può gareggiare sono le singole federazioni, che rischiano di porre un ulteriore grado di discriminazione proprio tra le stesse atlete trans. Scelte che spesso sono in contrasto con i principi trainanti dei Giochi olimpici, che si fondono sull’inclusione e sulla non discriminazione. Il dibattito, almeno per ora, rimane aperto.

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