C’è una storia parallela a quella dell’emergenza sanitaria in Italia nelle ultime settimane, fatta di cattiva informazione e notizie inventate, di rimedi miracolosi e di capri espiatori. Da fine gennaio Pagella Politica e Facta hanno rilevato e smentito oltre 210 bufale, teorie del complotto, approssimazioni ed errori che circolavano sui social network e nel dibattito pubblico a proposito dell’epidemia di coronavirus.
La disinformazione ha seguito passo passo l’epidemia, cambiando i propri temi e perfino adattandosi alle risposte delle autorità. Ripercorrere la storia delle notizie false durante la pandemia mostra come alcune teorie senza prove ma di facile presa – ad esempio quelle sul virus «fabbricato dall’uomo in laboratorio» – siano tornate più volte e in varie forme sin da quando non c’erano ancora casi conosciuti in Italia. Ma anche che altre notizie false sono invece diventate così popolari da raggiungere i media tradizionali in alcune fasi della pandemia, che dalla fine di febbraio è diventato, per settimane, l’unico tema della disinformazione in lingua italiana.
La disinformazione sulla reale pericolosità del virus, secondo alcuni «poco più di una comune influenza», ha avuto seguito soprattutto tra gennaio e febbraio insieme a una lunga lista di “casi che non lo erano” sparsi per l’Italia; le bufale sulle misure economiche, politiche e di controllo sociale previste dal governo italiano tra marzo e aprile sono andate di pari passo con il lockdown, con molte notizie false sulle possibili cure miracolose per il coronavirus (dal farmaco Avigan in Giappone al vaccino «già pronto» negli Usa).
La cosiddetta Fase 2, iniziata a maggio, è stata anticipata da una serie di bufale sulle «riaperture», spesso sostenute da finti documenti ufficiali. Finché nel corso del mese scorso la notizia del rilascio di Silvia Romano ha catalizzato l’attenzione della disinformazione, rallentando quella sul coronavirus, che comunque non si è arrestata.
Le prime bufale: allarmi, complotti e dietrologie sulla Cina
Il 16 gennaio i media internazionali si occuparono per la prima volta estesamente di un nuovo virus simile alla Sars che si stava diffondendo in Cina. La prima bufala sul coronavirus in italiano rilevata da Pagella Politica, che ebbe molto probabilmente una diffusione ridotta, risale al 21 gennaio. All’epoca in Cina i dati ufficiali contavano appena 6 decessi totali e 392 casi.
Quel giorno il sito Retenews24 pubblicò un articolo dal titolo «Allarme virus: si sta diffondendo anche in Italia». In realtà nell’articolo non veniva citato alcun dato confermato sulla reale diffusione del virus nel nostro Paese, ma si diceva solo che il livello di allerta in alcuni aeroporti fosse stato alzato (la notizia fu poi modificata e il titolo reso meno netto).
Fu l’inizio di una serie di segnalazioni di “casi che non lo erano”, che sarebbero proseguite per tutto il mese di febbraio. In particolare dopo la conferma, arrivata il 21 febbraio, dei primi casi di trasmissione locale di coronavirus nel nostro Paese.
Le teorie del complotto sono arrivate quasi subito. Il 22 gennaio Pagella Politica si è imbattuta nella prima notizia falsa di stampo complottista: in un’immagine circolata su Facebook si sosteneva che il coronavirus fosse stato brevettato nel 2015 dal Pirbright Institute, un istituto britannico privato, finanziato da enti pubblici e fondazioni tra cui la Bill & Melinda Gates Foundation. L’istituto si occupa come molti altri enti scientifici di ricerche su virus che provocano infezioni respiratorie nel pollame e nei suini, per provare a ricavare un vaccino che eviti nuove epidemie come l’influenza aviaria. Il Pirbright Institute non svolge ricerche su virus trasmissibili all’uomo.
Ma nel testo che accompagnava l’immagine si diceva che il virus in questione, che faceva parte dell’ampia famiglia dei coronavirus, fosse stato creato in laboratorio. In realtà quell’immagine con il numero di brevetto si riferiva alla richiesta di brevetto per un virus polmonare animale che non era il il nuovo coronavirus scoperto in Cina da poche settimane, il cui ceppo mai visto prima è stato identificato il 9 gennaio dall’Oms.
La foto con la scritta «Coronaviridae» bastò ad alimentare una grande teoria della cospirazione, che stava già prendendo piede in tutto il mondo, secondo cui dietro il Pirbright Institute “proprietario” del virus si celava Bill Gates (accusato sui social media di aver predetto il coronavirus da gruppi di complottisti).
Già a fine gennaio insomma aveva fatto la sua comparsa nel mondo della disinformazione una figura chiave delle settimane successive, una specie di capro espiatorio al centro dei più strampalati complotti: Bill Gates. Teorie totalmente infondate secondo cui Gates avrebbe avuto un ruolo e un presunto guadagno dallo scoppio della pandemia sono circolate nella disinformazione italiana in modo ciclico e crescente. Come abbiamo ricostruito in un nostro approfondimento sul tema, Bill Gates è diventato il bersaglio delle notizie false perché da tempo nel mirino di gruppi antivaccinisti.
Tornando al virus e alla sua origine: la teoria secondo cui il nuovo coronavirus era stato creato dall’uomo in un laboratorio di Wuhan, all’interno di un programma segreto del governo cinese sulle armi batteriologiche, è stata sostenuta in Italia a partire dal 25 gennaio anche da personalità di rilievo nel giornalismo italiano, come – tra gli altri – il direttore di Tgcom24 Paolo Liguori.
In questa fase, quando il Sars-Cov-2 – chiamato così a partire dall’11 febbraio dal Comitato internazionale per la tassonomia dei virus – circolava apparentemente solo in Cina, un filone di notizie false si concentrò sulla cultura cinese. In un filmato pubblicato il 24 gennaio su Youtube e diventato poi molto famoso in Italia veniva ripresa una ragazza cinese che mangiava un pipistrello (animale dal quale sarebbe passato il nuovo coronavirus, secondo le prime ricostruzioni sull’origine del patogeno). Il video però era del tutto decontestualizzato: era stato girato da una blogger nell’arcipelago di Palau, nell’Oceano Pacifico, nel 2016.
Il 26 gennaio si è diffusa in Italia un’altra bufala che attribuiva alle abitudini culinarie cinesi la colpa del salto di specie del virus. In un video si denunciava «la situazione igienico-sanitaria pari a zero» di un presunto mercato del Paese. All’epoca dell’origine del nuovo virus si sapeva poco, ma l’ipotesi che fosse passato dagli animali esposti in un wet market di Wuhan era già stata formulata e citata dai media internazionali. Sui banconi del presunto mercato cinese immortalato nel video si vedevano serpenti, pollame e cani, vivi o morti. Il mercato però si trovava in Indonesia. Questa narrazione nelle settimane successive è stata portata avanti anche da politici italiani, come il governatore del Veneto Luca Zaia, che in televisione a fine febbraio disse dei cinesi: «Li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi».
In quel momento l’interesse sulla Cina e le notizie sulla diffusione del virus crebbero molto. Alcune erano vere, come la notizia secondo cui la polizia aveva fatto arrestare il medico Li Wenliang, che per primo aveva dato l’allarme sulle anomalie delle polmoniti all’ospedale di Wuhan. Wenliang morì il 6 febbraio, alimentando online diversi sospetti sul governo cinese e – nei mesi a venire – un culto sulla sua persona.
Altre storie invece erano totalmente inventate: secondo una di queste, un ragazzo era stato linciato in Cina per aver tossito e starnutito per gioco sulla metropolitana, fingendo di avere il coronavirus. Si disse anche che i morti in Cina erano già 112 mila, senza alcuna verifica, mentre il Paese ne dichiarava appena 106.
L’attenzione e i timori intorno alla Cina aumentarono ancora quando il 30 gennaio si seppe che due turisti cinesi a Roma, atterrati il 23 gennaio a Milano, si erano sentiti male ed erano risultati positivi al test per il coronavirus. L’attenzione mediatica intorno alla coppia ricoverata allo Spallanzani (e dimessa ad aprile) durò per diversi giorni. Il 31 gennaio il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza, per poter garantire una risposta più efficace nel caso si fosse sviluppato un focolaio in Italia.
Dai casi finti al “paziente 1” di Codogno
A inizio febbraio iniziarono a circolare sempre più notizie false di casi di positività al coronavirus in Italia, come i presunti 27 all’ospedale Umberto I di Roma, senza alcuna conferma da parte delle autorità sanitarie. Le bufale coinvolsero anche le prime celebrità: il 2 febbraio girò sui social un fotomontaggio di un finto titolo di telegiornale secondo cui il cantautore Ultimo aveva contratto la malattia (ma non era vero).
Mentre i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani restavano gravi ma stabili, l’interesse per il coronavirus sembrò addirittura calare nelle settimane centrali di febbraio, come mostra il grafico delle ricerche del termine “coronavirus” in Italia.
Figura 1. Il grafico di Google Trends che mostra le ricerche del termine “Coronavirus” in Italia nel mese di febbraio
Fino al 20 febbraio, quando un cittadino italiano di 38 anni residente a Codogno, arrivato all’ospedale con una grave polmonite, risultò positivo al tampone per il nuovo coronavirus. Lo stesso giorno a Vo’ Euganeo, in provincia di Padova in Veneto, un settantottenne ricoverato in terapia intensiva e risultato positivo al coronavirus morì all’ospedale di Schiavonia, nei pressi di Padova.
Era la scoperta dell’epidemia in Italia, e anche dell’infodemia (un termine che esiste da diversi anni, utilizzato in merito alle bufale sul coronavirus dai membri dell’Organizzazione mondiale della sanità almeno dal 6 febbraio, e dal direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus in una conferenza del 15 febbraio). A partire dal 21 febbraio, informazione e disinformazione si sono concentrate per mesi soltanto sul virus, che in poche ore era diventato l’unico tema di interesse di tutto il Paese.
«Poco più di un’influenza»
Da lì a qualche giorno i casi accertati in Italia, tra Lombardia e Veneto, salirono di decine, poi di centinaia, e cominciò anche la conta delle vittime. In quella prima settimana di contagio si manifestarono diversi tipi di disinformazione, alimentata anche da persone della comunità scientifica.
A essere dibattuta era soprattutto l’effettiva pericolosità di un virus quasi sconosciuto. Il 24 febbraio la dottoressa Maria Rita Gismondo, direttrice responsabile di macrobiologia clinica, virologia e diagnostica bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, scrisse su Facebook un post – molto condiviso, e rimosso giorni dopo – in cui minimizzava i rischi: «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così».
Pur non trattandosi di una vera e propria bufala, ma di un errore di sottovalutazione, questa opinione ebbe un’enorme eco in Italia e contribuì ad alimentare una narrazione secondo cui il coronavirus non era così pericoloso. Anche il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, durante il consiglio regionale del 25 febbraio disse che il virus era «poco più, e non sono parole mie, ma dei tecnici con cui parliamo, di una normale influenza».
Nella stessa settimana di fine febbraio, mentre alcuni politici lanciavano messaggi tranquillizzanti di cui più avanti si sono pentiti, le autorità cominciarono a dare le prime raccomandazioni sulla necessità che i cittadini si igienizzassero spesso le mani. In Italia si diffusero così diverse notizie false su come produrre in casa l’amuchina e altri disinfettanti, che nei supermercati iniziavano a scarseggiare.
Intanto, mentre i casi reali continuavano a crescere, venivano segnalati molti presunti focolai e positività mai confermate in ospedali di tutta Italia, dalla provincia di Milano alla Calabria, dall’Abruzzo alla Basilicata, che arrivarono a coinvolgere persino papa Francesco. In parallelo con la reale diffusione dell’epidemia, insomma, la disinformazione in italiano si occupava di annunciare l’arrivo del virus in luoghi in cui non era ancora stato rilevato.
Il boom delle teorie del complotto
In quegli stessi giorni di fine febbraio in Italia le teorie del complotto sull’origine del virus ebbero un’impennata. Secondo una delle prime e più comuni, rilanciata il 22 febbraio in un video dal blogger Federico D’Agostino sulla sua pagina Facebook Man of Reality (seguita oggi da 150 mila persone), dietro lo scoppio dell’epidemia in Cina ci sarebbe stata «l’élite mondiale», detta anche «Nuovo ordine mondiale» (responsabile di molte nefandezze, secondo una nota teoria complottista che gira da anni in tutto il mondo), il quale attraverso il coronavirus avrebbe causato un «genocidio per fini economici». Quel video totalizzò oltre 140 mila interazioni in Italia, secondo i dati dello strumento per il monitoraggio dei social Crowdtangle.
Un’altra teoria cospirazionista, come abbiamo visto già circolata in Italia a fine gennaio, sosteneva che il virus fosse stato creato artificialmente in laboratorio. Su Facebook questa ipotesi fu rilanciata dalla pagina antivaccinista Attiviamoci Tutti, che il 22 febbraio condivise un estratto video di un talk show in streaming, Il vaso di Pandora, presentando il post con questo testo: «Il coronavirus è stato creato e pianificato già nel 2016 dall’Oms, Bill Gates e Melinda Foundation».
Nel video in questione Simone Lombardini, dottorando in Economia dell’Università di Genova, metteva in fila una serie di coincidenze e «fatti oggettivi» e ipotizzava la creazione del virus in un laboratorio di Wuhan da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo lui vicina all’Occidente, con l’intento di fabbricare un’arma biologica ai danni della Cina.
La teoria del virus creato in laboratorio, il suo presunto legame con il Pirbright Institute e con Bill Gates, tra i finanziatori dell’istituto (e diventato una delle vittime preferite dei complottisti di tutto il mondo), è stata una delle notizie false più diffuse anche nei mesi successivi. Come abbiamo visto, in Italia – seppure limitatamente – girava già da fine gennaio.
Lockdown, video dai balconi ritoccati e reazioni finte
Tra il 7 e il 9 marzo il governo ha imposto le prime pesanti limitazioni delle libertà di movimento per contenere il virus, prima in Lombardia e poi in tutta Italia. In quei giorni sui social circolarono diverse notizie false sul lockdown.
Alcune riguardavano presunte misure, mai esistite, sui controlli di polizia e sul “biocontenimento” della malattia, che citavano finti comunicati del Viminale o della Protezione civile. Quello dei documenti falsi è un filone di bufale nato in questa fase di inizio lockdown, e proseguito anche ad aprile, prima con semplici fotomontaggi e più avanti addirittura con la creazione di file Pdf attribuiti a diverse fonti ufficiali (come la Gazzetta ufficialedella Repubblica italiana o le ordinanze della Regione Lombardia). Sempre a inizio marzo, invece, diversi fotomontaggi di finti titoli di Corriere della Sera e Repubblica attribuivano al presidente del Consiglio Giuseppe Conte la decisione di chiudere le scuole fino a maggio o giugno, quando nulla in realtà era stato deciso.
Altre ancora, dopo la notizia vera della chiusura dei confini della Lombardia, venivano trasmesse attraverso fotografie decontestualizzate che avrebbero mostrato la “fuga verso il Sud” di molti italiani (che in parte si è davvero verificata, ma non in quelle foto).
Poco dopo l’inizio del lockdown ci fu un breve ma intenso episodio di diffusione di teorie della cospirazione a sfondo militare. Diverse di queste, tra il 12 e il 16 marzo, spiegavano la situazione eccezionale di distanziamento sociale come condizione imposta dal governo per presunti movimenti di carri armati sul territorio italiano, per esempio a Torino, Acireale e Bari, basati su fotografie scattate però in altri luoghi e in altri momenti. Le vere immagini dei camion dell’esercito che portavano via le bare da Bergamo, dove non c’era più posto nei forni crematori, sarebbero state girate solo due giorni dopo, il 18 marzo.
Ma oltre alla disinformazione in italiano e diffusa in Italia, ci sono stati anche casi di notizie false che riguardavano il nostro Paese e che circolavano all’estero. Ad esempio, in quella prima settimana di lockdown molti italiani si esibirono in canti dai balconi e applausi per gli operatori sanitari impegnati negli ospedali nella lotta al coronavirus. I video che ritraevano questi flash mob, circolati sui social in diversi Paesi del mondo, furono manipolati nell’audio per raccontare realtà diverse, soprattutto all’estero.
Nello stesso periodo, la portavoce e direttrice generale del Dipartimento dell’informazione del Ministero degli Esteri cinese condivise un video con l’audio contraffatto: mostrava degli italiani che dai propri balconi ringraziavano la Repubblica popolare mentre in sottofondo suonava l’inno nazionale di Pechino. Non è chiaro chi avesse modificato quel video, ma certamente fece gioco alla propaganda cinese.
Simili video modificati arrivarono anche negli Stati Uniti, dove diverse star della musica – Katy Perry, Madonna e i Black Sabbath – pubblicarono filmati convinti che gli italiani cantassero le loro canzoni dai balconi. Ma anche in questo caso si trattava di immagini vere con l’audio sostituito nel montaggio.
Figura 2. Il video del flashmob sui balconi di Salerno, con l’audio originale dei cittadini che cantano l’inno italiano
Le cure miracolose
Intorno alla metà di marzo, mentre il numero dei morti in Italia iniziava a salire in modo drammatico, su Facebook e nelle chat di WhatsApp cominciò a circolare con insistenza nuova disinformazione su presunte cure miracolose per il coronavirus, a base di vitamina C, kiwi e compresse di Cebion; e anche su medicinali che avrebbero accelerato la malattia, come l’ibuprofene.
Questo tipo di disinformazione proseguì anche oltre la metà del mese di marzo, concentrandosi soprattutto su quel che avveniva all’estero. Si disse che esisteva un farmaco russo che curava il coronavirus, ma anche che gli Stati Uniti avevano già pronto il vaccino. Tutto completamente falso.
Sempre in tema “cure e rimedi”, in Italia i media tradizionali parlarono molto di un video filmato a Tokyo da un 41enne romano, Cristiano Aresu, nel quale l’uomo raccontava che il Giappone stesse salvando molte persone (e lasciando quasi inalterata la vita sociale) grazie a un farmaco, il Favipiravir, commercializzato nel Paese con il nome di Avigan: «Se somministrato ai primi sintomi di coronavirus, accertati con il tampone, blocca il progredire della malattia nel 91 per cento dei casi», diceva Aresu. Questa informazione non era vera: il farmaco giapponese, testato anche in Cina, a marzo sembrava dare qualche risultato promettente, ma l’ottimismo nei mesi si è molto attenuato e tutt’ora proseguono, anche in Giappone, i test su asintomatici e paucisintomatici per capirne l’efficacia.
Dopo una presa di distanza iniziale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) datata 22 marzo, il video di Aresu portò il giorno dopo all’annuncio dell’avvio di una sperimentazione dell’Avigan in Italia da inizio aprile, rinnovata con uno studio di fase 3 a maggio, che non ha ancora dato risultati scientificamente affidabili. Il 30 maggio Cristiano Aresu ha partecipato come fondatore del movimento politico “Dignità popolare” a una manifestazione contro il governo organizzata da Casapound a Roma.
Le manifestazioni di generosità
A metà marzo, il 16, in Italia è circolata molto la finta notizia – inventata in Spagna e rilanciata da quotidiani sportivi madrileni – secondo cui il calciatore della Juventus Cristiano Ronaldo avrebbe trasformato gli hotel di sua proprietà in ospedali gratuiti per fronteggiare l’emergenza. Erano le settimane delle raccolte fondi per la creazione di nuove terapie intensive, come quella annunciata il 9 marzo dal cantante Fedez e da sua moglie Chiara Ferragni.
La bufala su CR7 inaugurava un nuovo trend di disinformazione: quello sulla “generosità” da parte di celebrità, personaggi politici o aziende, che avrebbero compiuto gesti in favore della popolazione, in realtà mai avvenuti. Così il 19 marzo qualcuno scrisse che Giuseppe Conte si sarebbe tagliato lo stipendio del 20% e una settimana dopo che avrebbero fatto lo stesso tutte le alte cariche dello Stato (secondo un falso Pdf della Gazzetta ufficiale, uno dei diversi documenti ufficiali finti fatti circolare). Ad aprile il fenomeno si spostò sulle aziende, in particolare sui supermercati, come vedremo più avanti.
Il Tg3 Leonardo e il virus creato in laboratorio
Uno snodo importante della disinformazione sul coronavirus in Italia fu il famoso servizio del novembre 2015 del Tg3 Leonardo, diventato all’improvviso virale il 25 marzo scorso su WhatsApp e poi sugli altri social, dove fu condiviso subito da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Nel video di cinque anni fa si raccontava della creazione in un laboratorio cinese di «un super virus polmonare da pipistrelli e topi» per motivi di studio. Il servizio evidenziava anche i dubbi di parte della comunità scientifica sul rischio che un simile virus potesse poi diffondersi tra gli uomini. Riascoltato nel 2020, ad alcuni è sembrato parlasse proprio del coronavirus che ha causato la pandemia globale.
Il video fu così dirompente da portare il leader Lega Matteo Salvini a chiedere un’«interrogazione urgente al presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri». In realtà, nonostante le molte coincidenze, gli scienziati spiegarono su Nature che non c’erano al momento – e tutt’oggi – evidenze scientifiche a sostegno dell’ipotesi della creazione in laboratorio e della diffusione volontaria del patogeno, come alcuni sostenevano e non solo in Italia.
Figura 3. Un fermo immagine del servizio del Tg3 Leonardo andato in onda il 16 novembre 2015 e diventato virale il 25 marzo
Il 5G e il contact tracing
E poi è arrivato il 5G. Il mese di aprile ha segnato l’arrivo nel nostro Paese di un’ondata di bufale secondo cui la pandemia sarebbe stata favorita, se non causata, dalle onde radio emesse dalla tecnologia 5G, da tempo uno dei grandi bersagli dei complottisti di tutto il mondo. Il 6 aprile un post circolato su Facebook sosteneva che la città di Wuhan fosse interamente coperta dal 5G e che per questo l’epidemia si fosse sviluppata lì per prima.
Questa teoria fu rilanciata il giorno dopo dall’attore e noto “creatore di bufale” Gian Marco Saolini: il 7 aprile pubblicò un video in cui si fingeva “antennista del 5G”, sostenendo che le onde aiutassero la propagazione del virus, secondo un piano autorizzato dall’Europa «e in particolare dalla Germania». Il post ottenne quasi due milioni di visualizzazioni e circa 250 mila interazioni su Facebook, secondo i dati di CrowdTangle.
Negli stessi giorni la blogger Rossella Fidanza rilanciò un servizio della trasmissione di Rai2 Petrolio sui possibili rischi del 5G, di cui si occupò anche il sito di debunking Butac. In quel periodo circolò su Whatsapp un video pubblicato dalla pagina Facebook “Cose che nessuno ti dirà”, dal titolo «Il coronavirus smascherato, ora sappiamo cosa lo attiva», che alludeva ancora una volta al 5G senza portare alcuna prova.
Sempre in quei giorni, a cavallo di metà aprile, circolarono in Italia diverse foto di animali «uccisi dalle onde del 5G», di alberi «alti e sanissimi abbattuti a Bologna» dalla stessa tecnologia, oltre a video di «Giapponesi che buttano giù antenne», ma che in realtà si riferivano ad altri contesti: il video era stato girato ad Hong Kong nel 2019 durante le proteste antigovernative e pro-democrazia contro la Cina.
Intorno al 20 di aprile il dibattito pubblico (e le ricerche online) si spostò sull’app per il tracciamento dei contatti a cui stava lavorando il governo per tenere sotto controllo il contagio. Così sul tema circolarono anche molte informazioni false, quasi sempre di carattere complottista: si parlò dell’obbligo (inesistente) di installare l’applicazione, che avrebbe permesso alle autorità di «prelevare i parenti con l’uso della forza».
Il sito Il Messaggio, da non confondere con Il Messaggero (e che tra le informazioni sul proprio sito spiega che «le notizie che puoi leggere in questa sezione del sito, incluso quella che stai visualizzando ora, sono delle bufale e non rispondono in alcun modo alla realtà») parlò di un disegno di legge approvato per installare negli italiani un «microchip sottocutaneo», tecnologia attribuita altre volte a Bill Gates dal mondo no vax, e al suo presunto disegno di controllo della popolazione.
I buoni dei supermercati e il ritorno dell’immigrazione
Come abbiamo anticipato prima, aprile fu anche il mese delle false iniziative di generosità. Un tipo di disinformazione che nascondeva il pericolo di vere e proprie truffe. I più colpiti furono i supermercati: secondo queste notizie senza fondamento, la grande distribuzione organizzata avrebbe regalato ai clienti buoni spesa da centinaia di euro. La stessa notizia falsa, con poche variazioni sulle cifre di quei buoni, è poi circolata sui social con diversi protagonisti: Coop, Conad, Esselunga, Lidl.
Spesso assieme al testo diffuso via WhatsApp era allegato un link che portava all’inserimento di dati personali su finte pagine legate ai supermercati: insomma, una truffa. Lo stesso meccanismo ha colpito anche aziende come Adidas, che avrebbe «regalato scarpe per combattere il coronavirus», e Nespresso, dispensatrice – secondo la bufala – di macchine da caffè gratuite.
Tra l’8 e il 20 aprile per la prima volta la disinformazione sul coronavirus incrociò il tema dell’immigrazione, uno dei più battuti negli anni scorsi dalle notizie false: un sito scrisse che alcuni migranti avrebbero «assaltato gli uffici postali del Casertano», senza rispettare il distanziamento sociale, per ottenere il bonus da 600 euro destinato ai lavoratori autonomi; un altro – rilanciato anche da quotidiani nazionali – che due immigrati avrebbero occupato una casa di una coppia di anziani morti per coronavirus; e la pagina Facebook della Lega riportò che degli «immigrati clandestini», salvati da un naufragio nel Mediterraneo, avrebbero trascorso la quarantena «a spese degli italiani su un traghetto con aria condizionata, ristorante, bar, cinema», e un’altra serie di comfort. La notizia della quarantena di 180 migranti su un traghetto Tirrenia era vera, ma non che avrebbero avuto a disposizione tutte quelle comodità.
Il sito VoxNews, finito nella lista di «siti di misinformazione sul Coronavirus» del progetto di monitoraggio dei mediaNewsGuard, rilanciò quest’altra notizia distorta: «Immigrati in giro senza mascherina sfottono: “Tanto noi non paghiamo le multe”». La storia non verificata proveniva da una lettera inviata da un lettore a Libero, e la foto dei migranti usata dal sito per diffonderla era decontestualizzata.
Anche in questa fase molte bufale continuarono a riguardare il modo in cui gli italiani stavano affrontando il lockdown attivo da oltre un mese. Nei giorni successivi alla domenica di Pasqua (12 aprile) circolarono molte foto di presunte code di automobili dirette al mare, che in realtà facevano riferimento ad altre circostanze.
La “irresponsabilità” di molti italiani fu utilizzata come spunto per creare notizie satiriche, come quella degli «incoscienti che corrono sul ponte di Messina», che non esiste, o delle persone ammassate sulle spiagge di Novi Ligure e Figline Valdarno (dove il mare non c’è), che alcuni fecero circolare sui social media come fossero vere, spesso in buona fede.
Le riaperture e le finte proteste
Tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio diffusero alcune false notizie sulle possibili riaperture nella “fase 2”, attraverso l’utilizzo di fotomontaggi che rappresentavano finti documenti ufficiali del governo italiano. Anche stavolta, come avvenuto prima del lockdown, la disinformazione prosperò sulle ipotetiche misure previste dagli attesi decreti del governo, dalla ripresa delle attività religiose «permesse agli islamici e non ai cattolici», fino alla «sospensione della proprietà privata fino al 31 luglio».
Dopo oltre un mese di lockdown, più recentemente le bufale si sono concentrate anche sull’esasperazione di diverse categorie di persone e lavoratori. Mentre i ristoratori sono davvero scesi in piazza all’Arco della Pace di Milano il 6 maggio, alcune foto di vecchie manifestazioni tenutesi in Italia e all’estero sono state utilizzate per sostenere che vi fossero in atto grandi «proteste» contro il governo, da Roma a Livorno, a cui avrebbero preso parte persino le forze dell’ordine.
Altri complotti (su Bill Gates)
Tra gli ultimi giorni di aprile e i primi 20 di maggio hanno ripreso a circolare diverse teorie del complotto su Bill Gates (di cui spesso vi abbiamo parlato su Facta), rilanciate in particolare da comunità online di antivaccinisti. Il nome del cofondatore di Microsoft è stato citato in almeno sei bufale diverse, secondo le quali attraverso i vaccini – compreso quello per il coronavirus, alla cui ricerca Gates sta contribuendo con ingenti finanziamenti – il filantropo vorrebbe «sterilizzare e ridurre la popolazione mondiale».
C’è chi ha scritto di nuovo che Gates avesse «brevettato il vaccino» contro la Covid-19, ma che in realtà al momento non esiste; e persino che fosse stato arrestato dall’Fbi per aver creato egli stesso il virus.
Le teorie su Bill Gates sono arrivate anche al Parlamento italiano, dove il 14 maggio la deputata Sara Cunial – eletta con il Movimento 5 Stelle, da cui è uscita ad aprile 2019 – ha tenuto un intervento in cui ha ripetuto molte delle teorie complottiste sul magnate americano.
C’è chi ha collegato Bill Gates persino alle ricerche di Giuseppe De Donno, primario del reparto di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova. Nei primi giorni di maggio il dottore ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica per la sua sperimentazione clinica che avrebbe provato l’efficacia della plasmaterapia contro il coronavirus, «nel disinteresse del governo». Nonostante rimangano molti dubbi sul fatto che la terapia funzioni, la figura di De Donno – di cui più volte Matteo Salvini ha tessuto le lodi sui social media e con il quale ha tenuto una diretta Facebook – è stata strumentalizzata dalla comunità no-vax, secondo la quale il medico sarebbe stato ostacolato per permettere invece lo sviluppo di un vaccino da parte dei «poteri forti», tra i quali appunto Bill Gates.
Tra il 7 e l’11 maggio, mentre le ricerche online su De Donno erano al loro picco, su Facebook si è scritto che il profilo del dottore fosse stato «oscurato», e che il governo avesse mandato i Nas a Mantova per chiudere il suo reparto di terapia al plasma. Notizie completamente false.
Una piccola svolta è avvenuta il 9 maggio, quando il premier Giuseppe Conte ha annunciato su Twitter la liberazione della cooperante italiana Silvia Romano, rapita in Kenya nel 2018 e venduta poi a una frangia di estremisti islamici di Al Shabab. Il ritorno in Italia della cooperante in Italia e la sua scelta di convertirsi all’Islam hanno alimentato un enorme dibattito online e la diffusione di molte notizie false su di lei, che hanno in parte distolto l’attenzione – anche della disinformazione – dal coronavirus. Ma le bufale sulla pandemia non sono finite.
Ancora a metà maggio, nonostante i dati della Protezione civile indicassero oltre 30 mila morti in Italia, giravano foto e video che tentavano di dimostrare la «non letalità» del coronavirus: una tesi sostenuta da fine aprile persino dal deputato Vittorio Sgarbi, un cui intervento alla Camera è stato visto milioni di volte in diversi Paesi del mondo. Un esempio di successo di bufale italiane da esportazione.
Un sito di notizie false ha poi affermato che le morti per Covid-19 fossero in realtà provocate da «errori medici»; un video di persone senza mascherina a Lugano, accompagnato dal testo «Conte dicci la verità», avrebbe provato che il virus in realtà non sarebbe in grado di uccidere. Nonostante le vittime accertate nel mondo siano più di 350 mila.
In conclusione
Un virus sconosciuto anche agli esperti, l’ansia delle persone di sapere come i governi l’avrebbero affrontato, le decisioni politiche inedite in una fase del tutto nuova della vita e dell’informazione, oltre a una serie di strumentalizzazioni per fini di propaganda (in particolare pro e contro Cina e Russia), hanno creato in questi mesi le condizioni ideali per la diffusione di una enorme quantità di bufale e di teorie della cospirazione sul coronavirus (tra cui quelle su Bill Gates e sul 5G) che nel corso di questi mesi hanno investito anche l’Italia.
Alcune di queste, nate all’estero e rilanciate in comunità online di antivaccinisti e di complottisti, sono finite anche sui media nazionali e nei discorsi in Parlamento di deputati italiani. Anche se rimangono diversi interrogativi sulla gestione da parte della Cina e dell’Organizzazione mondiale della sanità dell’inizio della pandemia, e diversi Paesi chiedono che sia svolta un’inchiesta indipendente a riguardo, non esistono elementi solidi a sostegno di tesi come la creazione del virus in laboratorio e la sua diffusione volontaria.
l contrario, le informazioni verificate arrivate prima in Italia e poi in altri Paesi del mondo hanno confermato che un virus di origine naturale abbia ucciso centinaia di migliaia di persone e che al momento, come per la disinformazione, non esista una cura efficace.
No, la pandemia di Covid-19 non è stata prevista nel 1981
Secondo quanto circola su alcuni social media, un romanzo del 1981 proverebbe che la pandemia di Covid-19 è stata pianificata, ma la scienza smentisce questa tesi