Testimonial della disinformazione che non lo erano - Facta
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Testimonial della disinformazione che non lo erano

La disinformazione, proprio come la pubblicità, è un business che si basa sulla fiducia e che prospera solo in presenza di un solido vincolo tra produttore e consumatore. Per questo motivo alcuni siti web che operano in questo campo puntano a costruire un brand riconoscibile, che a volte finisce per arricchirsi di trovate collaterali come l’organizzazione di eventi dal vivo o la produzione di linee di integratori personalizzate. 

Anche sfruttando espedienti di questo tipo, ottenere la fiducia di un pubblico vasto resta comunque un obiettivo di difficile attuazione, soprattutto in un campo come quello della disinformazione che non può contare su fonti attendibili e prove conclusive. 

È per questo motivo che i diffusori di notizie false si servono spesso e volentieri di stratagemmi comunicativi come l’utilizzo di testimonial inconsapevoli, utili a dare una parvenza di credibilità ai loro contenuti, simulando autorevolezza con risultati più o meno riusciti. Scopriamo meglio di che cosa stiamo parlando.

Volti noti, informazioni false

Tra i metodi più utilizzati dalla disinformazione per indurre un sentimento di fiducia nell’utente c’è lo sfruttamento di un volto noto per fargli sostenere delle teorie false. È ciò che in ambito pubblicitario si definisce un testimonial, ovvero un personaggio pubblico che si fa garante della qualità del prodotto reclamizzato, con la differenza che nel caso della scorretta informazione è proprio l’inconsapevole vip a essere la prima vittima del raggiro.

Dall’inizio della pandemia di coronavirus abbiamo assistito a numerosi esempi di questa dinamica, applicata spesso a contenuti di carattere scientifico. Un ambito in cui è ancora piuttosto in voga il principio di autorità, ovvero quella scorciatoia dialettica che consente di persuadere qualcuno sfruttando le affermazioni di un esperto in materia. 

La personalità più spesso scomodata dalla disinformazione è stato il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier, scomparso l’8 febbraio 2022, che oltre ad aver sostenuto in prima persona numerose teorie pseudoscientifiche sul virus Sars-Cov-2, è stato indebitamente chiamato in causa da contenuti di disinformazione che collegavano la terza dose del vaccino anti-Covid all’Aids e sostenevano che le persone vaccinate sarebbero morte «entro due anni».

I falsi testimonial della pandemia…
In modo simile, le notizie false sulla Covid-19 si sono servite anche del premio Nobel per la medicina Tasuku Honjo (qui e qui), del premio Nobel per la chimica Kary Mullis, degli infettivologi Massimo Galli e Matteo Bassetti, del virologo Fabrizio Pregliasco, dell’economista Jacques Attali (utilizzato per sostenere la teoria della riduzione della popolazione attraverso i vaccini), del direttore dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, del presidente dell’Ordine dei medici Antonio Magi e del direttore dell’Agenzia italiana del farmaco Nicola Magrini. Si tratta in tutti i casi di frasi mai pronunciate dai personaggi celebri o dagli esperti.

Ad aver prestato inconsapevolmente il volto alla disinformazione sulla Covid-19 non sono stati solo scienziati ed esperti di settore, ma anche politici e autorità religiose che spaziano dal presidente francese Emmanuel Macron a papa Francesco, icone pop come Justin Bieber e sportivi come Thomas Müller, senza dimenticare l’onnipresente Bill Gates

…e quelli del conflitto in Ucraina

Lo stratagemma del falso testimonial è stato sfruttato anche durante la crisi tra Russia e Ucraina, arrivando a far sostenere alla senatrice Liliana Segre che «il nazismo ucraino è buono», non è «come quello tedesco» (frase mai pronunciata dalla senatrice), e alla giornalista Giovanna Botteri che l’ospedale di Mariupol bombardato dall’esercito russo fosse stato evacuato da mesi (non era così, come avevamo chiarito in questo approfondimento, e Botteri non lo ha mai messo in dubbio). 

Tra le altre “vittime” della disinformazione bellica troviamo anche il primo ministro ungherese Viktor Orban, il presidente polacco Andrzej Duda e l’Organizzazione mondiale della sanità. Capitolo a parte va dedicato poi al presidente russo Vladimir Putin, di cui esiste una vasta produzione di frasi e discorsi apocrifi validi per ogni circostanza, da quelli che propongono l’annessione dell’Italia alla Federazione russa a quelli che bacchettano il nostro Paese per la gestione della pandemia, passando per tutta una serie di minacce nei confronti dell’Unione europea e degli Stati Uniti.

Le citazioni storiche (inventate)

Ma non serve essere in vita per finire nelle maglie della disinformazione e anzi, un genere particolarmente gettonato è quello delle citazioni storiche inventate, che nel tempo hanno coinvolto il fondatore del Movimento 5 Stelle Gianroberto Casaleggio, il generale nazista Herman Goering, l’ex presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini, il cancelliere di ferro Otto von Bismarck, il sedicesimo presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, i filosofi Voltaire ed Henry Thoreau e gli scrittori Aldous Huxley ed Ennio Flaiano

Menzione d’onore va infine alle citazioni inventate attribuite a personaggi inesistenti, come il presunto commissario europeo «Earl’s Court» e la presunta presidente di una Ong, tale «Victoria Lane».

La disinformazione attribuita ai mass media

Talvolta l’autorevolezza dei singoli non è sufficiente ed è in queste circostanze che entrano in gioco i mass media, di norma così bistrattati dalla narrazione alternativa dei siti di disinformazione. Ciò si è verificato soprattutto in relazione al conflitto in Ucraina, quando gli esperti non erano il modo giusto per fornire credito a contenuti di disinformazione perlopiù incentrati sul campo di battaglia. Qui infatti gli unici testimoni erano, appunto, i reporter.

Le testate giornalistiche sono così diventate strumenti inconsapevoli di disinformazione creata per propagandare una precisa idea degli eventi bellici, o al contrario utilizzate come “fantoccio” al quale attribuire notizie false, in modo tale da squalificare la professione e in generale la cosiddetta “narrazione mainstream”. 

Finora l’istituzione giornalistica più colpita da questa dinamica è stata l’emittente americana Cnn, che fin dai giorni precedenti al conflitto è stata accusata di aver sostenuto che Vladimir Putin avrebbe rimandato l’invasione dell’Ucraina fino a quando non ci sarebbero state «armi da rubare», di aver inscenato l’uccisione di un giornalista inviato sul campo, un bombardamento in Ucraina e un’esterna da Lviv. Sempre alla Cnn sono state attribuite le false notizie secondo cui l’invasione dell’Ucraina starebbe provocando miocarditi e la presenza dell’attore di Steven Seagal tra le forze speciali russe, mentre alcuni post su Facebook accusavano la redazione di aver celebrato i bambini soldato addestrati dal Battaglione Azov. 

In maniera non dissimile, al magazine TIME è stata attribuita una falsa prima pagina che paragonava Putin a Hitler, al quotidiano italiano La Repubblica un clamoroso refuso riguardante un lanciarazzi e all’emittente all-news TgCom 24 di aver addirittura mandato in onda per errore una scena del film Deep Impact al posto di una ripresa delle fughe di massa da Kiev.

In conclusione
Nel tentativo di instaurare un vincolo di fiducia con il suo pubblico, la disinformazione ha nel tempo adottato una serie di stratagemmi comunicativi più o meno funzionanti. Il più utilizzato consiste nell’adozione di testimonial inconsapevoli, esperti nel loro campo ai quali vengono attribuite le opinioni più disparate. 

I più gettonati sono in questo senso gli scienziati, le cui presunte previsioni sulla pandemia di coronavirus (mai realmente pronunciate, o presentate in modo fuorviante) hanno inquinato il dibattito pubblico, producendo una serie notevole di notizie false. Ma non serve essere in vita per finire nelle maglie della disinformazione e anzi, un genere particolarmente gettonato è quello delle citazioni storiche inventate, che nel tempo hanno coinvolto filosofi e politici, sempre pronti a descrivere il presente con delle vecchie (e false) frasi ben congegnate. 

Un fenomeno molto simile è stato replicato anche con la guerra in Ucraina, ma stavolta la disinformazione ha colpito soprattutto i mass media, percepiti come i più vicini alla situazione in evoluzione sul campo. L’emittente Cnn è stata più volte bersagliata da contenuti che la accusavano di aver inventato false notizie dal fronte e la stessa sorte è toccata anche al magazine TIME e a media italiani come La Repubblica e TgCom 24.

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